Annemiek oltre i limiti dell'infinito
Van Vleuten vince contro ogni pronostico il Mondiale di Wollongong: un successo che corona una stagione perfetta da parte di un'atleta senza confini. Lotte Kopecky seconda, Italia protagonista e grande bronzo per Silvia Persico
Di fronte a quanto abbiamo visto oggi non ci sono troppe parole da usare. O tantissime. Ammutolire come di fronte a un'opera d'arte, una piena sindrome di Stendhal, o con una sindrome di stand-up alzarsi in piedi e tributare un'ovazione a una campionessa sconvolgente? Giro-Tour-Vuelta-Mondiale, pure la Liegi se vogliamo proprio umiliare il resto del ciclismo, ma che c'è da aggiungere al 2022 di Annemiek van Vleuten? Cosa dire di una gara in cui è partita sofferente, con una microfrattura al gomito dopo la tremenda botta che ha preso appena tre giorni fa e che aveva messo in discussione la sua partecipazione alla prova iridata di oggi? Prova in cui ha patito, si è staccata in salita e non una volta sola, ha stretto i denti, non si è mai potuta alzare sui pedali, s'è beccata pure un'ammonizione strada facendo perché era abbigliata in maniera differente rispetto alle compagne, si è salvata non si sa come dal naufragare sotto la pioggia che improvvisa si è abbattuta su Wollongong, è rientrata con l'aiuto delle compagne, se n'è stata in disparte nel finale e poi ha esploso un colpo poderoso, tonante, definitivo. E ha vinto un Mondiale, un altro dopo la fantastica impresa di Harrogate (e vanno ricordate pure le due edizioni a cronometro). Davvero serve aggiungere altro? Per chi ha visto la gara no, non serve; chi non l'ha vista, se la recuperi per piacere.
Van Vleuten ha vinto e tutte le altre hanno perso, ha perso Lotte Kopecky arrivata seconda, ha perso Silvia Persico arrivata terza, non lo diciamo noi ma lo dichiarano le botte sui rispettivi manubri assestate sulla linea d'arrivo al termine di una gara molto battagliata, in cui non sono mancati i colpi di scena, i risvolti inattesi, le conferme e le smentite, le rivelazioni e le delusioni. Insomma tutto quel che ci si aspetterebbe dalla gara in linea più importante dell'anno, e che però non sempre avviene. Il percorso di Wollongong non è il massimo, ma se poi partorisce dei finali come quello che abbiamo visto stamattina risulta inattaccabile da tutti i punti di vista: c'è pathos, c'è incertezza, c'è il finale a sorpresa, ci viene da chiederci cosa si dovranno inventare domani i professionisti per avvicinare quanto avvenuto oggi (ma visti i nomi in campo sospettiamo fortemente che sì, lo faranno, si inventeranno quel che serve!).
Hanno perso ma non è poi così vero, perché Lotte Kopecky (che ha solo 26 anni, se pensiamo che Annemiek ne compie 40 tra 15 giorni...) centra un risultato mai ottenuto prima, un argento mondiale (che fai Lotte, lo butti via?), e perché Silvia Persico, che è ancor più giovane della belga, corona la stagione della maturazione con un altro podio iridato, dopo quello di Fayetteville nel ciclocross. In mezzo, una presenza mai banale nelle gare a tappe, facendo classifica ovunque (il quinto posto finale al Tour resta una perla), centrando tanti piazzamenti e pure una vittoria di tappa alla Vuelta. Insomma una paladina in costruzione per il ciclismo italiano, un'erede naturale di quell'Elisa Longo Borghini con cui oggi ha fatto corsa più o meno parallela, eguagliando al primo colpo il miglior risultato dell'ossolana. Se son rose fioriranno, se sono iridi risplenderanno.
Quanto all'Italia nel suo complesso, la prima Italia mondiale del ct Paolo Sangalli, si è assunta le responsabilità proprie di chi rimette in palio il titolo e dispone di una squadra di grandissimo livello. Quasi tutte le azzurre sono state all'altezza del proprio compito e del proprio incarico, qualcuna ha brillato di più e qualcuna di meno, ma la saldatura tra gregariato d'alta classe e finalizzazione delle capitane di giornata continua con successo. Da Salvoldi a Sangalli il risultato non cambia, le azzurre sono protagoniste, sanno fare la corsa, indirizzarla, giocarsela, e confermano di essere un faro del ciclismo femminile: non semplice, non scontato in questi anni di boom della categoria. E data l'età giovane di tante delle nostre, siamo consapevoli che la luna di miele tra noi appassionati e loro che pedalano così bene e così forte continuerà per tanti anni ancora. C'è di che essere compiaciuti, e va bene così anche quando non si vince.
La cronaca della gara
Il Campionato del Mondo femminile, 164.3 km con tratto in linea iniziale (partenza da Helensburg) e poi 6 giri del circuito di Wollongong, è iniziato con un inopinato rimescolìo in casa Olanda: dentro contro molti pronostici Annemiek van Vleuten, gomito destro microfratturato nella Mixed Relay di mercoledì (solo lei sa come fa, ma che sia una donna bionica non lo scopriamo certo oggi), fuori Demi Vollering positiva al covid. La prima fuga interessante l'ha messa a segno la francese Gladys Verhulst, partita tutta sola a 151 km dalla fine e inseguita a lungo dalla lussemburghese Nina Berton e dall'ucraina Daryna Nahuliak; le due sono rimaste per una quindicina di chilometri a bagnomaria prima di essere raggiunte dal plotone, che ha pure annullato la solitaria fuoriuscita della danese Rebecca Koerner.
Verhulst, che ha avuto un massimo di 1'45" di vantaggio sul gruppo, è stata ripresa ai -120 dopo il Mount Keira, lunga scalata che ha evidenziato le difficoltà di Van Vleuten ma non solo (anche l'azzurra Marta Bastianelli ha cominciato a vedere fosco sulle sue rampe); in ogni caso ai -110 c'è stato un riappallamento generale, e con l'appropinquarsi del circuito di Wollongong ha preso il via la seconda fuga del giorno, composta stavolta da tre atlete: la belga Julie van de Velde, la svedese Caroline Andersson e la britannica Elynor Bäckstedt, che certo voleva lasciare pure lei qualche traccia in una rassegna che poche ore prima aveva visto trionfare la sorellina Zoe tra le juniores.
Il trio ha avuto un vantaggio massimo di 1'36" ai -100, poi ai -91 è scattata dal gruppo Aude Biannic (Francia) che ha ripreso la Andersson, staccatasi dalle altre battistrada al secondo passaggio su Mount Pleasant ai -76. In questa fase l'Italia aveva già cominciato a governare la corsa, lavorando per ricucire con Elena Cecchini e Vittoria Guazzini, tra le migliori interpreti della giornata. Ci hanno messo una ventina di chilometri, le azzurre, per neutralizzare la fuga, raggiungendo le intercalate ai -66 e le superstiti al comando ai -57. In verità la sola Cecchini ha raggiunto Bäckstedt e Van de Velde, il gruppo ci è arrivato poco dopo tirato dall'Olanda con Shirin van Anrooij.
Un altro tentativo solitario (della slovena Spela Kern) dai -54 ai -45, e la corsa poteva entrare nel vivo. Al quarto e terz'ultimo giro, sempre sul muro di Mount Pleasant, c'è stata la prima seria setacciata del gruppo, con le prime difficoltà palesate da alcune protagoniste attese, tipo Grace Brown (Australia) ed Elisa Balsamo: la campionessa uscente capiva già lì, ai -43, che ripetersi sarebbe stata impresa ardua per lei. Per il momento più o meno tutte le big sono poi rientrate (il percorso favoriva e favorisce parecchio i recuperi), ma era chiaro che le donne del giorno sarebbero state altre.
L'Australia ha mosso le sue pedine, Amanda Spratt ai -38, Brodie Chapman ai -37, Grace Brown ai -36, Sara Roy ai -35, e quest'ultima azione è stata quella che ha avuto un minimo di spazio, ma non troppo perché se non era l'Italia, c'era l'Olanda interessata a ricucire. L'Italia a questo punto ha optato per una stretta dei tempi, e con un treno visivamente molto impattante ha messo in fila il gruppo mentre si entrava nel quinto e penultimo giro e mentre una pioggia battente prendeva a sferzare la corsa. Non una delle ragazze del ct Paolo Sangalli ha però fatto esplodere il caos, bensì Katarzyna Niewiadoma.
La polacca è scattata ai -26 al penultimo passaggio da Mount Pleasant, e la sua azione ha dato il la alla tedesca Liane Lippert, la quale ha rilanciato e fatto a pezzetti il gruppo delle migliori, chiamando la reazione - oltre che della stessa Kasia - anche di una brillante Elisa Longo Borghini e poi della sudafricana Ashleigh Moolman e della danese Cecilie Uttrup Ludwig. In seconda battuta c'erano avversarie come la neozelandese Niamh Fisher-Black, la svizzera Elise Chabbey e Silvia Persico. Annemiek van Vleuten, non pronta ai cambi di ritmo in salita, provava - a tratti arrancando, a tratti rilanciando - a restare in qualche modo a galla tra un gruppetto e l'altro. Assente di lusso tra le prime, l'attesissima Marianne Vos.
In discesa Lippert e Longo Borghini hanno allungato, ma sono state raggiunte ai -20 dalle altre tre che con loro si erano avvantaggiate in salita (Niewiadoma, Moolman e Ludwig), e in quel momento il margine sul resto del mondo ammontava a un mezzo minuto abbondante. Qui l'Olanda ha fatto una magia, con Ellen van Dijk e Annemiek a tirare forte in favore della Vos e a permettere un ricongiungimento perfezionato a soli 13 km dalla fine, quando si era già nell'ultimo giro del circuito. Il gruppetto tirato dalle oranje si era via via infoltito, e da questo drappellone, dopo un fugace tentativo di Chapman stoppato da Sofia Bertizzolo, ha preso vita ai -12.5 un contropiede velenoso di Marlen Reusser.
L'elvetica ha raggiunto un vantaggio di 20", bottino con cui ha affrontato con fiducia l'ultimo Mount Pleasant. Ma qui la rossocrociata s'è imballata, e siccome la situazione fermentava parecchio soprattutto per opera di una scatenata Lippert, ecco che in cima, ai -8, ci siamo ritrovati ad avere al comando lo stesso quintetto del giro precedente: Liane, Kasia, Ashleigh, Cecilie e, non senza fatica, un'Elisa accodatasi all'ultimo momento. Dietro, sfilacciate, le altre buone gambe della giornata, da Chabbey a Fisher-Black, da Persico alla belga Lotte Kopecky, dalla cubana Arlenis Sierra a una Reusser rimasta temporaneamente senza fiato, per finire con una Vos declinante e una Van Vleuten a cui a questo punto della storia non si davano due centesimi di credito.
Ma il finale era tutto da scrivere, oh se lo era! I 17" che le cinque si sono ritrovate ad amministrare si sono rivelati tutt'altro che un fondo di garanzia nel momento in cui, invariabilmente, dietro le forze si sono ancora una volta riunite, con la determinante presenza di Reusser che si è sacrificata per la compagna Chabbey, riportando sotto pure Fisher-Black, Persico, Kopecky, Sierra, la francese Juliette Labous e lei: Annemiek.
Davanti Elisa si sbatteva per rianimare un'azione che pareva ammosciarsi via via, dietro anche le ruote più veloci (Kopecky, Sierra) contribuivano e il risultato del tutto è stato che a un chilometro dal traguardo c'è stato un nuovo ricongiungimento: dannato percorso! Come succede spesso in questi casi, al ricongiungimento consegue un rallentamento, al rallentamento consegue una stoccata in contropiede, alla stoccata consegue... no, non consegue più niente, perché in questo caso la citata stoccata è stata una botta tremenda. E chi l'ha assestata, partendo dall'ultima posizione, con tanto di elastico (ovvero: perdo volutamente 5-6 metri e poi mi lancio sorpassando tutte come un razzo)? Lei.
Annemiek si è letteralmente fiondata sul lato destro della strada, e appena l'abbiamo vista, inquadrata dall'alto in tutto il suo atletico splendore, in tutto il suo sghembo ardore, abbiamo immediatamente capito che non ci sarebbe stata altra Campionessa del Mondo a Wollongong. Le avversarie si sono forse guardate un attimo di troppo (ma nemmeno tanto, c'era Moolman che tirava, insomma non erano ferme le ragazze), Kopecky ha sperato che un'altra andasse ad accorciare sulla neerlandese, o almeno che quella si piantasse ai 200 metri, e ha agito come se non ci fosse Van Vleuten da raggiungere: "Io faccio la mia volata e non favorisco magari la Sierra di turno, e poi se vinco vinco". Non ha vinto, Lotte.
Non ha vinto perché Annemiek non ha perso una pedalata e quando ha preso margine si è ritrovata d'incanto nella sua solita dimensione altra, quella di chi letteralmente vola e quando vede un traguardo avvicinarsi vola ancora di più. La fantastica 39enne di Vleuten ha completato così un'altra magia, ha conquistato un altro successo memorabile, e ogni nuova affermazione stupisce più della precedente, perché pensi "un giorno smetterà di vincere" ma lei non smette, neanche per sogno.
Prima, incredula, ammaccata, dissipata, felice. Le sconfitte, arrabbiate, coi pugni sul manubrio che già abbiamo raccontato più su, cronometrate a 1" di distanza: nell'ordine Kopecky, Persico, Lippert, Ludwig, Sierra, Labous, Niewiadoma, Chabbey, Longo Borghini a chiudere la top ten; e poi ancora, nel medesimo gruppetto, Moolman, Fisher-Black, e poi a 11" una sfinita Reusser, e a 13" un'altro gruppetto in cui Marianne Vos ha potuto solo vincere l'inutile volata del 14esimo posto (qui l'Italia ha piazzato Bertizzolo al 17esimo), prima di fare l'unica cosa che le rimaneva da fare: andare a complimentarsi con l'amica-rivale (lo sono un po' tutte tra loro, nell'Olanda), omaggiarla, mentre lei, AVV, esprimeva tutta la meraviglia del più inaspettato dei trionfi.
Per l'incredibile nazionale dei Paesi Bassi questo è il quinto titolo negli ultimi sei anni (solo Balsamo ha interrotto il filotto), settimo negli ultimi 11. Per tutte le altre, l'abituale congedo dalla prova iridata: "Ci riproveremo l'anno prossimo". Il loro problema è che nel 2023 ci riproverà anche Annemiek. E chi oserà puntare uno scellino contro di lei, dopo quanto visto oggi?