Strade Bianche. Pidcock fa l'impresa, gli inseguitori la frittata
Numero da fuoriclasse del britannico nella corsa senese. Assolo strepitoso favorito anche dalla condotta scriteriata del quintetto alle sue spalle, intento in vicendevoli punzecchiamenti ma non nella rincorsa al battistrada
Un'impresa come quella compiuta da Pogacar solamente 12 mesi fa sembrava difficilmente ripetibile, in fondo la Strade Bianche è una corsa talmente dura che affrontarla per oltre un quarto della sua durata in solitaria è pensiero folle. Farlo davvero, però, non ti fa solamente entrare negli annali, ma direttamente nel cuore del pubblico presente a bordo strada e in quello degli spettatori davanti al televisore. Tom Pidcock oggi ha voluto tentare di replicare l'azione messa in scena dallo sloveno e la storia gli ha dato ragione e noi non possiamo che gioirne, perché, in fondo, quando a trionfare sono il coraggio e la gara d'attacco il gusto del successo è ancor più intenso e soprattutto duraturo, non ci abbandona appena terminata la corsa. Partito alla caccia di Alberto Bettiol e Andrea Bagioli in uno dei primi tratti in salita del segmento di Monte Sante Marie, il più significativo della corsa, quello che ogni anno consente di scremare il gruppetto dei migliori, il piccolo alfiere della INEOS ha abbandonato al proprio destino i due italiani allungando in discesa grazie alla propria guida sublime. Nonostante i favori del pronostico, una volta rimasto solo, non fossero dalla sua parte, il britannico ha insistito con caparbietà e prolungato la propria cavalcata fino al traguardo, resistendo al ritorno degli inseguitori che a una decina di chilometri dalla conclusione sembrava certo.
E dunque, senza voler togliere nulla al valore immenso della vera e propria impresa compiuta da Pidcock, è d'altro canto necessario porsi con atteggiamento critico nei confronti della condotta tenuta proprio dai cinque inseguitori, i quali con un comportamento differente avrebbero potuto giocarsi la vittoria. Di chi stiamo parlando? Dei corridori che si sono piazzati dal secondo al sesto posto e che hanno condiviso speranza, tatticismi, tattiche alquanto questionabili e, infine, un po' di sana delusione. I cinque (inizialmente sei, ma poi Simmons si è perso proprio sul più bello), rimasti insieme a 18 chilometri dalla conclusione su Colle Pinzuto, sono Valentin Madouas, Tiesj Benoot, Rui Costa, Attila Valter e Matej Mohoric, in rigoroso ordine d'arrivo.
Ognuno di loro ha da raccontare una storia diversa; Madouas, ad esempio, è finito a terra nel segmento di San Martino in Grania e, proprio come Davide Formolo poco dopo di lui, si è visto costretto ad uno sforzo notevole che si sarebbe evitato molto volentieri per rientrare nei ranghi. Eppure poi ha avuto la forza per resistere alla scrematura su Monte Sante Marie, la lucidità di seguire Andreas Kron intorno ai -40 e, infine, nuovamente gambe per riportarsi su uno scatenato Benoot tra Monteaperti e Colle Pinzuto.
Lo stesso Benoot, prima del finale, si è mosso con una ricercatezza tattica davvero notevole. Innanzitutto è riuscito a rimanere fuori da ogni caduta e ad evitare tutti gli imprevisti nelle prime battute e poi, anche in una situazione delicata, in cui sia lui che il compagno di squadra Valter si erano fatti scappare il drappello buono, è rimasto calmo e ha aspettato il momento giusto prima di muoversi. Anche quando Quinn Simmons ha aperto il gas in uno dei tanti risciacqui presenti nel lungo “trasferimento” in asfalto che porta i corridori fino a Monteaperti, il belga ha scelto di rimanere sulle ruote degli altri, sfruttando il movimento del campione ungherese Valter, che invece aveva immediatamente seguito l'attacco dello statunitense. Non appena Van der Poel, su cui erano puntati tutti gli occhi degli inseguitori, è stato ripreso dal suo drappello dopo non essere riuscito a chiudere il gap nei confronti del gruppetto davanti, Benoot è partito secco, lasciando sul posto MVDP e gli altri, di fatto condannandoli definitivamente all'oblio, perlomeno nella corsa odierna. Con un'azione portata avanti sia grazie alle gambe che alla testa, il belga si è riportato sul gruppetto che era appena sfuggito al campione del mondo di ciclocross, comprendente Mohoric, Formolo, Rui Costa, Madouas e il giovane e fenomenale francese Romain Grégoire, oltre ai succitati Simmons e Valter.
Successivamente, invece di collaborare con decisione nell'inseguimento di questi otto a Pidcock, il portacolori della Jumbo ha fatto perlopiù lavorare Valter, preservando le forze per un secondo attacco ben assestato sempre in un tratto asfaltato in salita, vale a dire il terreno prediletto di Benoot. Con questo allungo ha selezionato un terzetto potenzialmente pericolosissimo insieme al coriaceo Madouas e a Rui Costa, sempre molto attento in tutte le fasi di corsa a non farsi sfuggire le ruote buone. Su di loro sono poi rientrati anche Valter, Mohoric e Simmons (e qui Benoot si è lasciato sfuggire un gesto di stizza, parzialmente giustificato visto che la situazione tattica precedente era ideale per un inseguimento ben organizzato), ma nonostante questo il tempismo di Benoot era stato oltremodo azzeccato.
Tra i cinque protagonisti del tira e molla finale che ci accingiamo a descrivere, proprio il campione ungherese Attila Valter era stato il più attivo in tutto il corso della Strade Bianche: dopo esser scivolato insieme a Madouas è rientrato abbastanza agevolmente e su Monte Sante Marie ha tentato il riaggancio con Pidcock, mancandolo per pochi secondi. Ripreso, si è messo al servizio di Benoot tirando forte e rispondendo agli scatti degli altri outsider, riuscendo comunque, dopo tutte queste fatiche, a riportarsi sul terzetto Madouas-Rui Costa-Benoot e, su Le Tolfe, a staccarli tutti. Il principale problema della gara di Valter, al di là della faida interna alla Jumbo con Tiesj, è stata proprio questa sua incapacità di rilanciare efficacemente l'azione dopo uno scatto bruciante; ciò gli ha impedito più volte di sradicare di ruota tutti gli altri inseguitori ed evitarsi così quegli ultimi dieci, terribili chilometri.
Questo infatti è il fulcro della critica mossa ai cinque "imputati", i quali fino al cartello dei -10 si erano ben mossi, nonostante già precedentemente la collaborazione scarseggiasse (ma con ancora qualche sterrato da affrontare era normale che non tutti si fidassero a dare la propria piena collaborazione nell'inseguimento). A poco più di novemila metri dalla conclusione il vantaggio del battistrada era risibile, appena 7", e i cinque lo vedevano poco davanti a loro. Da lì in avanti, però, il quintetto ha messo in fila una serie di errori che sono difficilmente giustificabili, dato che si parla pur sempre di professionisti e di una corsa prestigiosa come la Strade Bianche. Ma si sa, anche da questi dettagli, che in fondo poi tanto dettagli non sono dato che celano l'attitudine generale dei corridori, si nota la differenza tra un grande campione come Pidcock e degli ottimi corridori a cui però al momento del dunque tremano le gambe.
Il principale indiziato per il fallimento dell'inseguimento è Benoot, colpevole di esser troppo dinamitardo quando invece una sana collaborazione regolare sarebbe stata di maggior auspicio per il quintetto. Inoltre, a questi momenti alternava lunghi tratti in cui rimaneva in ultima ruota, inducendo tutti gli altri a rimanere passivi, compreso un Madouas generoso e volitivo ma non stupido. L'apporto dato da Valter al suo teorico capitano è stato di fatto nullo. Molto spesso i due Jumbo sono sembrati corridori di team diversi, non capaci di mettere in fila le idee e organizzare una tattica degna di questo nome. L'ungherese avrebbe potuto sacrificarsi per il belga, ma invece ha sempre cercato una soluzione personale, non aiutato nemmeno da un Benoot enigmatico, che alternava momenti di brillantezza ad altri in cui sembrava lì lì per staccarsi.
La Jumbo, dopo un fine settimana totalmente dominato, è tornata sulla bocca di tutti per la propria distintiva caratteristica di gestione quantomeno rivedibile dei momenti clou delle corse, ma nemmeno Madouas e soprattutto Rui Costa e Mohoric sono esenti da critiche. Lo sloveno ha preferito puntare tutto su continui attacchini a cui non ha dato realmente seguito, perdendosi puntualmente gli altri quattro quando la strada tornava a salire, palesando così un'inferiorità piuttosto netta messa in luce anche dallo strappo finale di Santa Caterina dove è stato nettamente staccato dai compagni di sventura. Il portoghese, dal canto suo, aveva una gamba niente male, ma anche in momenti in cui una decisa collaborazione avrebbe portato esclusivamente vantaggi per lui (e per Madouas e Benoot) ha scelto di rimanere a ruota mantenendo un comportamento attendista che ormai questa nuova generazione di fuoriclasse, oggi capeggiata da Pidcock, ci aveva fatto dimenticare.
Impossibile conteggiare tutti gli errori commessi dal quintetto, sarebbe più semplice elencare le mosse azzeccate. Tuttavia, queste sono talmente poche da risultare del tutto ininfluenti e infatti il risultato finale certifica il fallimentare finale di gara degli inseguitori.
Di fronte a tutto questo, non si può far altro che brindare all'audacia di Pidcock e alla sua resilienza. Oggi più che mai, in una corsa così speciale, è giusto che sia la sfrontatezza dell'ardimentoso a prevalere sul calcolo del timoroso.