Solo: A Thomas De Gendt Story. La biografia del Re delle Fughe degli anni '10
Si ritira alla fine di quest'anno un corridore che ha fatto della fuga il suo marchio di fabbrica: la sua vita raccontata al giornalista Jonas Heyerick nella primavera del 2020 e pubblicata in un libro
“Non sono un Frank Vandenbroucke. Non ho sfasciato auto di lusso e non ho mai sniffato cocaina. Non sono andato a letto con una sfilza di donne mozzafiato…di certo non contemporaneamente. Non ho trascorso notti in prigione né ho mai devastato stanze di un albergo, completamente fuori di testa. Ma penso di avere comunque qualcosa da dire. Sulle gare che ho corso e vinto e su quelle che ho corso e perso. Sulle gare in cui ho attaccato e su quelle in cui non ho attaccato. Ho qualcosa da dire sui motivi per cui spesso e volentieri vado in fuga. Sul perché all'epoca le cose sono andate storte con la Quick-Step. Sul perché quel terzo posto al Giro del 2012 si è poi rivelato un'arma a doppio taglio…"
Così dice al telefono Thomas De Gendt parlando a Jonas Heyerick, il giornalista belga a cui il corridore di Semmerzake propone, di raccontare la propria storia per trarne un libro. Siamo durante il confinamento del 2020, quando in Belgio le regole per gli atleti sono più lasche di quelle di altri paesi come l'Italia: gli atleti possono allenarsi, ma non si possono organizzare corse, così Thomas De Gendt pensa di sfruttare questo momento per scrivere un libro e raccontare la propria storia. Thomas è ancora uno dei corridori più noti del Belgio, insieme a Greg van Avermaet e Philippe Gilbert. Wout van Aert ha ancora mostrato poco su strada, Remco Evenepoel non è ancora esploso: in una terra dove il ciclismo è religione, essere De Gendt alla fine degli anni '10 vuol dire comparire sui manifesti pubblicitari ed essere riconosciuto da chiunque per strada.
Il libro che è nato dalle conversazioni con Heyerick sulla terrazza di casa De Gendt è Solo. Vita in fuga di Thomas De Gendt, Mulatero Editore, della collana Pagine AlVento, con traduzione di Davide Trovò, editing di Filippo Cauz, direzione editoriale di Gino Cervi e art direction di Tundra, acquistabile a questo link sullo Store di Cicloweb.
Una vita in fuga
Del resto al Giro d'Italia del 2012 è stato lui, classe 1986, il primo a riportare il Belgio sul podio di un Grande Giro dopo un vuoto di diciassette anni: un risultato che mancava dal terzo posto di Johan Bruyneel alla Vuelta del 1995, e ottenuto con un gioco di prestigio e coraggio, lanciandosi all'attacco nella tappa del Mortirolo e dello Stelvio, ovvero staccando il gruppo dei migliori sulle rampe del primo, riportandosi sulla fuga di giornata e resistendo fino alla vittoria sulle rampe del secondo. Impresa che potremmo valutare come buona prova di forza ora, per come abbiamo visto il ciclismo cambiare, ma quasi impensabile allora, quando l'attacco da lontano era qualcosa di simile a un romantico slancio utopista, strenua opposizione all'inesorabile ritorno dei freddi calcoli del gruppo dei migliori. Chissà che non possa essere stato quel giorno di follia di De Gendt il brodo in cui si è cucinato il ciclismo degli anni '20.
Quel giorno, il Belgio accarezzò per la prima volta dopo anni la possibilità di ritrovare finalmente un corridore che potesse giocarsi la vittoria nei Grandi Giri (avrebbe dovuto aspettare la Vuelta di Evenepoel dieci anni dopo, ci dirà la storia), ma nel libro Thomas spiega benissimo di aver abbandonato presto, e per la precisione dopo il Tour de France 2013, quel tipo di velleità: troppa la continuità richiesta, troppa la pressione di avere la squadra tutta per sé. “Adesso mi alleno per vincere, prima mi allenavo per non perdere tempo” chiosa.
Breakaway King
Quel giorno non era nato un nuovo Eddie Merckx, ma semmai un nuovo Axel Merckx: un corridore che avrebbe fatto della fuga il suo marchio di fabbrica, tanto da essere unanimemente riconosciuto come il “Re delle Fughe”, “Breakaway King", come lui stesso deciderà di scrivere nella propria bio sull'account dell'allora Twitter. Bio che dopo il 2020 si sarebbe trasformata in “Former Breakaway King”, tanto per dare la misura di quanto Thomas, pur con quel breve scorcio di megalomania che si era concesso, è pur sempre uno capace di non prendersi troppo sul serio. “Ma chi è il nuovo Re delle Fughe? ” gli chiesi banalmente quando venne a Bergamo a presentare il libro. “Cort Nielsen!” mi rispose senza accennare il minimo dubbio. ”Ma lui è anche abbastanza veloce", aggiunsi, senza pensare che il non detto suonava “Non come te che sei un piantato!”. “Sì, lui sì”, aggiunse.
Inutile aggiungere che di questo specializzarsi nelle fughe Thomas De Gendt abbia fatto la filosofia del proprio essere corridore, quasi rifiutando di poter avere mai porsi obiettivi, e scegliendo come proprio motto"If you don't shoot, you'll always miss".
"Se riesco a entrare in una fuga buona, devo lottare tre volte per vincere. Innanzitutto contro il gruppo. Poi contro i compagni di fuga. Infine contro me stesso. Prima si risolve ciascuna di queste battaglie, meglio è."
Il libro, dopo aver raccontato il lento ingresso nel mondo del ciclismo ripercorre dodici anni di carriera nel mondo del ciclismo e le 15 vittorie ottenute fino ad allora (dopo averlo scritto ne sono arrivate altre due), con dovizia di particolari sulla giornata dello Stelvio al Giro d'Italia 2012 e quella al Mont Ventoux (Chalet-Reynard) del Tour de France 2016, mediaticamente messa in secondo piano da quello che avvenne alle sue spalle, la moto che causò la caduta di Chris Froome rompendo la bici e la celebre corsa a piedi del kenyano. Ma racconta anche la prima vittoria al Wallonie, la prima World Tour beffando Jens Voigt alla Parigi Nizza 2011, la vittoria a Saint-Étienne su Pinot e Alaphilippe nel 2019.
Dalle pagine della biografia emerge un ritratto di uomo molto particolare, la timidezza che non gli fa rivolgere la parola ad André Greipel per due anni, il timore di sentirsi rivolgere la parola da Andy Schleck, il fastidio che gli porta farsi massaggiare, i tratti autistici, il momento bui di quando la carriera è sembrata andare a rotoli, dei giorni delle morti di Nolf e di Weylandt, di un periodo di depressione e di distanza dalla moglie, ma anche un po'di retroscena: un giudizio severo su Cancellara, il litigio con Gallopin che minacciava di farlo punire tramite Marion Rousse, il perché Benoot e Wellens non possano vedersi, i corridori si ricordano di esserlo solo in scadenza di contratto, gli accordi sotto banco nelle categorie inferiori, gli imbrogli di De Vreese, le regole sempre più pressanti sullo stile di vita e sugli alcolici (un vero peso, per lui che è un appassionato di birre belghe). Tre intermezzi interrompono la narrazione, sulle sue passioni extra-ciclistiche, ovvero i videogiochi, il cubo di Rubik, e come detto, le birre.
Non resta che aspettare l'ultimo capitolo della vita in fuga di Thomas De Gendt, quello che lo Scorpione di Semmerzake (fu il primo soprannome che i giornalisti avevano ipotizzato, per il tatuaggio a forma di scorpione sul polpaccio, suo segno zodiacale, ma che i suoi compaesani di Beveren non apprezzavano): la tappa 20 della Vuelta a España 2024 infatti, è stata da tempo messo finita nel mirino del Breakaway King: sarà l'ultima tappa della sua carriera, vedremo se riuscirà nella sua ultima grande fuga.