Essere abbastanza
Da juniores staccò Remco, poi è entrato in un incredibile vortice di negatività. Ma ora finalmente Karel Vacek è approdato al professionismo e con la maglia della Corratec potrà dimostrare di saper ancora volare. Magari al Giro
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
(Vincenzo Cardarelli)
Volando idealmente come i gabbiani di questa meravigliosa poesia, percorriamo a ritroso le stagioni, i mesi, gli anni. In poche parole il tempo. Torniamo al 2018, a quei giorni in cui sulle strade della Lunigiana si corre una delle più ambite corse a tappe della categoria Juniores: il Giro della Lunigiana, appunto. C'era particolare attesa per quell'edizione, dal momento che tra i partecipanti c'è quel ragazzino belga fenomenale, che in bicicletta corre da appena un anno ma che già vince e stravince in ogni dove. Tutti erano curiosi di ammirare per la prima volta sulle strade nostrane Remco Evenepoel, per il quale paragoni e superlativi già si sprecavano.
Eppure, lungo i tre chilometri e mezzo del prologo di Castelnuovo Magra, meglio di lui riuscì a fare un ragazzino che in Italia correva da un paio di stagioni, dopo essersi trasferito nel nostro paese dalla Repubblica Ceca: Karel Vacek il suo nome, tenetelo a mente. Remco non ci mise molto a lavare l'"affronto", vincendo le due frazioni successive e prendendosi la leadership. Quel ragazzino ceco però non aveva alcuna intenzione di mollare e nel duro arrivo di Casette riuscì a fare ciò che in pochi si aspettavano: staccare Remco in salita. Una vittoria convincente, condita pure da qualche reciproca punzecchiatura capace di mettere pepe al tutto e di creare i presupposti per una potenziale sana rivalità sportiva. Poco importa che Evenepoel riuscì poi a suggellare ulteriormente il successo nella generale, giacché quel ragazzo ceco dal fisico slanciato aveva conquistato tutti con il suo atteggiamento caparbio.
A ben pensarci però di Karel si parlava già da un po', ossia già da quando - da Allievo - aveva cominciato a mettersi in evidenza nelle corse dure, vincendo e piazzandosi ripetutamente e gettando le basi per due annate da juniores contrassegnate da prestazioni notevolissime e da ancor più successi e piazzamenti. Per molti Vacek appariva uno di quelli dal futuro assicurato e quando sulla scena irruppe anche suo fratello minore Mathias, meno scalatore di lui ma ben più potente e veloce al punto da far dotare di pallottoliere coloro che tenevano il conto dei suoi successi sulle strade di mezza Italia, sembrava quasi di rivedere una riedizione della parabola dei fratelli Schleck.
Per Karel, classe 2000, arrivò intanto la chiamata dell'Hagens Berman Axeon, la formazione Under 23 diretta da Axel Merckx in cui in quelle stagioni approdavano sovente i giovani più interessanti del panorama internazionale. Pareva il momento della consacrazione, fu invece l'inizio di una sorta d'incubo: le cose non andarono bene e neppure il successivo ritorno in Italia (sponda Colpack), per giunta nell'anno della pandemia, riuscì a risollevarlo. Il promettente scalatore ammirato in quei giorni di fine estate a due passi dal Mar Ligure, non riusciva proprio a risollevarsi, anche a causa di qualche problema fisico di troppo. Neppure il nuovo trasferimento alla Qhubeka gli fu di giovamento, al punto che faceva fatica a finire le corse in determinati periodi.
In pochissimi anni quindi Karel Vacek era diventato uno di quegli "emblemi di fallimento". Uno di quei tanti ragazzini condannati a non "essere mai abbastanza" perché dopo aver fatto vedere determinate cose vi era la pretesa di vedergliele fare presto a livelli più alti e magari già in pieno professionismo. Un meccanismo crudele, a tratti perverso, a tratti perfino educativo, in cui se non ci si risolleva in tempo si rischia di scrivere presto la parola "fine".
Perfino con Mathias il destino è stato beffardo: dopo aver conquistato la prima vittoria tra i professionisti nell'UAE Tour 2022 si è trovato dalla sera alla mattina senza squadra, nel momento in cui la Gazprom è stata costretta a sospendere l'attività per via delle sanzioni comminate alla Russia. Per sua fortuna era riuscito già a farsi notare al punto da strappare un contratto con la Trek-Segafredo e i mesi successivi (culminati con l'argento mondiale) hanno testimoniato che il suo talento era rimasto intatto e non eccessivamente turbato dagli odiosi eventi.
A quel punto è toccato anche a lui rincuorare e sostenere Karel, con cui ha sempre avuto un eccellente legame e condiviso gli allenamenti, pur senza correre assieme per via dei due anni di differenza. Gli austriaci del Tyrol KTM costituivano una sorta di ultima spiaggia per sognare il professionismo e l'avvio difficile pareva confermare il trend delle precedenti stagioni.
Poi Karel si è risvegliato: ha ricominciato a farsi vedere davanti, colto un paio di buoni piazzamenti, andando a disputare il Giro della Valle d'Aosta con buone ambizioni. Proprio lì, in uno dei regni preferiti dai giovani scalatori, si è improvvisamente ritrovato, preceduto solo da un gran numero di Lorenzo Germani a Saint-Christophe e chiudendo la corsa con un ottimo quarto posto nel tappone di Cervinia. A testimonianza del fatto che Karel Vacek qualcosa da dire e da dare al ciclismo l'aveva ancora. La pensava così anche Gianni Savio, pronto ad accoglierlo nella Drone Hopper prima che la situazione si facesse complicatissima anche lì. Qualcuno però le gesta di quel ragazzino che duellava e addirittura staccava Remco Evenepoel non le aveva dimenticate e con il carico di belle ambizioni che contraddistingue chi si lancia con pieno entusiasmo nella categoria Professional ha voluto dargli fiducia: il Team Corratec.
Karel Vacek, tra vari perigli e difficoltà, è riuscito così ad approdare a quel professionismo in cui per qualcuno avrebbe dovuto trovarsi quasi per inerzia. Forse in maggio potrebbe coronare il nuovo sogno della partecipazione al Giro d'Italia, magari rendendosi ulteriormente conto che le corse a tappe sono il suo maggiore terreno d'espressione. Ora però continua a volare basso, con la leggerezza di un gabbiano in una mite giornata. Con la consapevolezza di potersi riavvicinare a quell'"essere abbastanza" che altro non chiede se non la dovuta pazienza. Che forse per troppi ancora non c'è.