Che problemi avete con Pogačar e con il Giro?
Chi davvero crede che Tadej partecipi all’edizione 2024 solo perché pagato, e che questo segni una sua resa al cospetto di Vingegaard, non ha capito niente: né dello sloveno, né dell’importanza della corsa rosa
«Ma figuriamoci se viene al Giro!», «Tutt’al più verrà a correrlo a fine carriera!», «L’Emiro lo vuole in Francia!», «Ormai contano solo i soldi del Tour!», «Il Giro non interessa a nessuno!». Fino a pochi giorni fa, questo era il tenore medio dei commenti più gettonati rispetto all’ipotesi che Tadej Pogačar mettesse effettivamente nel mirino il Giro d’Italia 2024, nonostante la logica e le ambizioni del fuoriclasse sloveno rendessero del tutto plausibile – e anzi, auspicabile – un suo assalto alla prossima edizione della corsa rosa. E adesso che, finalmente, c’è l’annuncio ufficiale della presenza di Tadej alla grande partenza di Torino, è immediatamente partito un fuoco di fila uguale (nel livore) e contrario (nelle congetture): «Scappa dal confronto con Vingegaard!», «Chissà quanto lo paga RCS!», «I veri campioni comunque vanno al Tour!».
Ora, siccome molte volte i leoni da tastiera sono gli stessi nell’uno e nell’altro caso, spiace davvero che Freud sia morto ormai da un pezzo, perché altrimenti sarebbe stato interessante chiedere al padre della psicanalisi un parere professionale su quale sia il trauma infantile represso, e mai superato, dell’appassionato medio di ciclismo: uno per il quale il bicchiere non solo è sempre mezzo vuoto, ma anche venato, e quella cosa marrone e molle nel barattolo sarà sempre merda, mica nutella! In definitiva, uno che che se non trova ogni giorno un argomento di cui lamentarsi, gode solo a metà.
Riavvolgiamolo, allora, il nastro delle recriminazioni: fino a ieri il Giro d’Italia era equiparato ad una corsetta di quartiere ed era impensabile che un campione assoluto come Pogačar potesse anche solo pensare di parteciparvi, se non a fine carriera quando, comunque, avrebbe potuto vincere lo stesso in considerazione del livello scadente della corsa rosa. E, sempre fino a ieri, tra Pogačar e Vingegaard non c’era mica paragone: era Tadej il campione a tutto tondo, e Jonas il nerd buono a correre (e vincere) soltanto il Tour.
Ebbene, a Pogačar è bastato annunciare quello che in realtà era già nell’aria da mesi – e che si poteva facilmente pronosticare senza essere fenomeni, e senza nemmeno avere bisogno di gole profonde dentro al gruppo – perché molti interpretassero la sua scelta di partecipare al Giro d’Italia come una resa al cospetto della superiorità di Vingegaard: come se, davvero, puntare alla maglia rosa fosse un ridimensionamento per chi ha già conquistato due volte la gialla, e come se un corridore lo si giudicasse solo dalle sue prestazioni alla Grande Boucle.
Ma non era vero il contrario? Pogačar non era un campione a tutto tondo proprio perché capace di vincere su tutti i terreni da febbraio ad ottobre? E perché la sua voglia a mettersi in gioco e la sua polivalenza, che fino a ieri lo rendevano indubbiamente più popolare di Vingegaard, dovrebbero all’improvviso diventare il suo più grande limite, solo perché indirizzate su un progetto chiamato Giro d’Italia?
Per quale dannato complesso di inferiorità dobbiamo considerare il Giro come una corsa talmente insignificante da squalificare immediatamente chi vi partecipa quando, invece, proprio la storia recente ci dice che, ogni anno, almeno uno o due big di livello assoluto lo hanno sempre puntato? Dopotutto la Tripla Corona è o non è, ancora oggi, un obiettivo a cui ci si aspetta debbano aspirare i grandi corridori da gare a tappe? E come la conquisti, se non mettendoti alla prova anche sulle strade del Giro (in primis) e poi della Vuelta?
Quindi, di cosa diavolo ci stupiamo se Pogačar, all’apice della propria carriera (perché tale è stato il suo 2023, pur non avendo vinto il Tour: ci rendiamo conto cosa significhi, nel ciclismo contemporaneo, avere messo in bacheca – tra le tantissime altre cose – un Giro delle Fiandre dopo aver già conquistato due Grande Boucle?) sceglie ora di provare a vincere il Giro d’Italia?
E davvero crediamo che la sua scelta sia dipesa solo dall’assegno che pure RCS Sport avrà senz’altro staccato? E davvero ci tocca dover leggere commenti sarcastici che già preconizzano un suo ritiro dopo una decina di giorni? Oppure, al contrario, davvero c’è chi è convinto che a questo punto lo vincerà con una gamba sola, come se davvero il Giro fosse una corsa banale? Io sarò pure cinico e sono senz’altro una persona orribile, ma cavolo, quanti di voi hanno questa visione del ciclismo sono anche peggio! E se non avete ancora capito cosa rappresenti il Giro d’Italia nella storia di questo sport, e cosa significhi vincerlo per chi di questo sport ha fatto una professione, allora non avete capito davvero un bel niente.