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Taco Van Der Hoorn e il suo ritorno in gruppo: «Mi è servito più di un anno per rinascere»
L'olandese della Intermarché ha più volte pensato al ritiro per le conseguenze della caduta al Fiandre 2023
L'oblio, la difficile riabilitazione, la paura di non farcela e infine la rinascita, con tanto di vittoria a fine stagione: Taco van der Hoorn ha attraversato un deserto lunghissimo prima di ritornare alla vita e all'agonismo. In una lunga intervista al quotidiano «De Volkskrant», il 31enne olandese ha descritto le tante difficoltà che hanno caratterizzato il suo ritorno alle corse dopo il terribile incidente al Giro delle Fiandre 2023.
Van der Hoorn: «Ho temuto di non farcela»
Il corridore della Intermarché-Wanty riavvolge il nastro fino al 2 aprile 2023, il giorno della caduta alla Ronde: «Penso di ricordare il momento in cui mi hanno portato in ospedale: ero sdraiato e sentivo che quei punti di sutura (al sopracciglio, ndr) erano come spari nella mia testa. Ho sperimentato sulla mia pelle quanto possa essere rognoso un infortunio. E pensare che, una settimana dopo, avrei dovuto correre la Parigi-Roubaix che - per inciso - era la gara più importante dell'anno per me. Dentro di me, speravo di poter essere comunque al via. Al tempo stesso, però, sentivo che la mia testa era andata fuori controllo». I segni di quella commozione cerebrale che lo avrebbe tenuto lontano dalle corse per più di un anno e mezzo, in cui non sono mancati i momenti di sconforto: «Mi è capitato più volte di pensare che questo incidente avesse segnato la fine della mia carriera. Del resto, è difficile immaginare le conseguenze di una commozione cerebrale. Il sintomo più evidente è la nebbia che avvolge il tuo cervello. Inoltre, hai la sensazione che il mondo ti passi davanti senza che tu abbia la possibilità di concentrarti su qualunque cosa». Un avversario in più sulla strada del recupero, iniziato con brevi sedute di allenamento («10-15 minuti al giorno») e intervallato da momenti di grande frustrazione: «Se pedalavo per un'oretta, non potevo poi guardare la televisione di pomeriggio: non riuscivo a prestarle attenzione. In bicicletta tutto andava per il meglio, ma i disturbi che avevo peggioravano sempre di più. Per qualche tempo, ho pensato di poter comunque andare avanti, ma alla fine ho capito che così non avrebbe funzionato. Qualche settimana dopo la caduta, ho ricominciato a stare poco bene e ad avvertire un certo malessere».
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«La mia rinascita? In allenamento?»
Un mese dopo l'incidente al Fiandre, van der Hoorn ha deciso di tornare ad Andorra, portandosi dietro la bici elettrica della madre. Due uscite giornaliere senza pretese, intervallate da momenti di completo riposo: il minimo indispensabile per non perdere contatto con la passione della sua vita. Con grande pazienza, il corridore di Rotterdam ha seguito questo copione per diversi mesi, finché il suo corpo non ha iniziato a fare progressi. Il primo passo verso il ritorno alla normalità, che si è concretizzato durante una sessione di allenamento nella primavera del 2024: «È stata la prima volta in cui ho affrontato in allenamento il Coll d'Ordino al massimo delle mie possibilità. Ed è stata la prima volta in cui mi sono detto che non avrei passato due giorni disteso sul divano dopo essere tornato a casa. A quel punto, ho pensato che avrei potuto fare questo sforzo anche il giorno seguente. Lì ho capito che la fine del mio calvario era vicina e che era arrivato il momento di pensare al giorno in cui sarei tornato a gareggiare».
Neppure la lunga inattività - interrotta il 15 agosto 2024, quando van der Hoorn ha partecipato al GP Jef Scherens - ha intaccato la sua indole da attaccante purosangue, da istintivo di talento che non ama vivere a ruota degli altri. Tutti abbiamo pensato che il tempo si fosse fermato quando è scattato da solo negli ultimi chilometri della Elfstedenrace, un bagliore di luce in un grigio e ventoso pomeriggio di inizio autunno. Eppure, ripensando a quella vittoria così speciale, van der Hoorn fa professione di modestia: «Per quanto sia stata bella, non penso che quel successo sia stato poi così sorprendente. Fino a quel momento, avevo disputato una serie di corse in cui non potevo fare molto, dal momento che si concludevano in volata oppure proponevano molte difficoltà altimetriche. Tuttavia, sentivo già da un pezzo che le cose stavano per rimettersi a posto».
Adesso che l'incubo è alle spalle e un'altra stagione è in fase di decollo - il suo obiettivo principale è la Roubaix di domenica 13 aprile - c'è ancora spazio per la paura? La risposta è un trattato di sincerità: «Ci pensavo all'inizio della scorsa estate: cosa proverò quando sarò tornato in gruppo? In fin dei conti, si prova un certo spavento quando si pedala a tutta velocità con altri 150 corridori ai piedi di una salita e tutti vogliono stare davanti. D'altra parte, però, ho notato che - dopo la mia caduta - la situazione non è peggiorata, né tantomeno è diventata insostenibile. Se ci sarà bisogno di farlo, combatterò ancora per guadagnarmi il mio posto». Le parole di un uomo che è già pronto per la prossima fuga.