Giugno, quando la stagione ciclistica ristagna
Le cinque settimane di distanza tra Giro e Tour lasciano ampio spazio a una fase del calendario davvero insipida. Motivo in più per spostare in avanti la corsa rosa, riportandola alle date di un tempo
C'è poco da girarci intorno: giugno è il mese in cui la stagione ciclistica entra in una fase di stallo. Questa situazione si è venuta gradualmente a creare a partire dal 1995, anno in cui, complice lo slittamento della prova iridata da fine agosto a ottobre, la Vuelta España è stata spostata a settembre, diventando così trampolino di lancio per il mondiale. Il cambio di calendario ha giovato non poco alla corsa spagnola, fino ad allora incastrata a fatica tra la fine delle classiche del nord, nell'ultima settimana d'aprile, e l'inizio del Giro d'Italia, intorno al 20 maggio. La Vuelta che, precedentemente, prendeva il via il lunedì successivo alla Liegi-Bastogne-Liegi, disponendo al massimo di 20 giornate riposo compreso, ha potuto nella sua nuova collocazione di fine estate equipararsi alle due sorelle maggiori con 21 tappe più due riposi.
In questo esercizio di restyling, sicuramente, chi ci ha rimesso di più è il Giro d'Italia, divenuto festa di maggio a pieno titolo ma costretto a combattere, mai quanto quest'anno, con le incertezze d'una primavera sempre potenzialmente bagnata. Poi, a fine 2001 per la precisione, ha avuto luogo un altro mutamento del calendario che ha portato il Giro ad anticipare i tempi di disputa. Infatti, in quella stagione, in occasione del primo dei due successi di Gilberto Simoni, la corsa rosa si svolse dal 19 maggio al 10 giugno. Dodici mesi dopo la disputa fu anticipata d'una settimana, 11 maggio-2 giugno, continuando poi negli anni a scalare in avanti fino ad avere luogo, quasi sempre, totalmente nel mese di maggio.
Tornando agli anni in cui la corsa rosa terminava la seconda, se non addirittura la terza, domenica di giugno, la partenza del Tour de France aveva poi luogo a inizio luglio, ossia tre settimane dopo la fine del Giro anche, se nel 1976, complice l'inizio anticipato delle Olimpiadi di Montrèal, si arrivò, addirittura, ad avere una pausa di soli 12 giorni tra le due grandi corse a tappe. Oggi, lo spazio tra la fine del Giro e l'inizio del Tour è di cinque settimane, mentre quello tra la corsa francese e la Vuelta oscilla tra le quattro e le cinque. A rendere il tutto ancor più paradossale è il fatto che 30 anni fa, quando le due gare distavano mai più di tre settimane, almeno un terzo della startlist del Giro si schierava alla partenza del Tour mentre adesso, che lo spazio temporale è quasi raddoppiato, solo il 10% di coloro che hanno pedalato in Italia a maggio si presentano ai nastri di partenza della Grande Boucle.
Andando oltre queste fredde statistiche, il risultato che ne esce fuori è un mese di giugno ciclisticamente insipido con corse quali Giro del Delfinato e Tour de Suisse, un tempo prestigiose, ridotte a sgambature preparatorie del grande evento francese. Il fatto che oramai quasi nessuno tenti l'accoppiata Giro-Tour dovrebbe favorire il riavvicinamento nel calendario delle due corse posto che queste cinque settimane di potenziale recupero, non si capisce da parte di chi, non servono a nessuno, producendo, al contrario, negli appassionati un forte calo d'interesse.
È chiaro che l'UCI si trova confrontata, forse sarebbe meglio dire subissata, da continue richieste d'introduzione di nuove gare da paesi che, oltretutto, sono sempre più presenti a livello finanziario nel panorama ciclistico internazionale. Detto ciò, non è deprezzando il valore dei gioielli della corona, che si otterrà niente di positivo. La storia e la tradizione del Giro d'Italia impongono rispetto. Questo, in termini pratici, significa che il disegno fissato alla presentazione della gara deve corrispondere al tragitto che sarà poi effettivamente percorso dai corridori, senza tagli dolorosi in corso d'opera.
Guardando il Giro del Delfinato snodarsi sotto un sole splendente penso, non senza un pizzico d'irritazione, che anche la corsa rosa avrebbe meritato il diritto a essere disputata in condizioni meteorologiche migliori.