Da Milano all'Everest: in bicicletta fino al Tetto del Mondo
Il viaggio di Claudio Piani, 10300 chilometri in solitaria tra steppe, deserti e montagne
Chi non ha mai sognato di lasciare tutto, inforcare la bici e pedalare fino all’orizzonte? Claudio Piani, milanese classe 1987, l’ha fatto davvero: partito da casa sua a Milano, è arrivato fino al campo base dell’Everest, coprendo un percorso di 10.300 km in bicicletta e 160 km a piedi. Un viaggio che l’ha portato attraverso il Nord Italia, i Balcani (Slovenia, Croazia, Serbia e Bulgaria), poi in Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan, India e Nepal.
Da Milano all’Himalaya
L’idea di partire prende forma qualche anno fa, quando, a 27 anni, Claudio decide di prendersi un anno sabbatico e raggiungere l’Australia via terra, utilizzando solo mezzi pubblici e attraversando l’Asia. “Avevo una vita normale per un ragazzo della mia età: insegnavo, lavoravo come personal trainer e coach di basket, e guadagnavo bene,” racconta. “Ma i mesi estivi non bastavano più a placare la mia sete di scoprire il mondo. Così, ho deciso di esplorare aree lontane dall’Occidente e dalla globalizzazione.”
È solo l’inizio di una serie di avventure: due anni dopo, Claudio riparte verso l’Italia in autostop, viaggiando da Singapore a Milano. Poco dopo, si trasferisce in Cina, dove trascorre un anno come allenatore di basket. Al termine del contratto, decide di tornare nuovamente in Italia via terra, questa volta partendo dal Tibet. Acquista una bicicletta in acciaio, la stessa che lo accompagna ancora oggi e gli consente di percorrere ogni angolo del continente. Ogni chilometro è una nuova conquista.
“La mia bici si chiama Wencheng. L’ho comprata nel 2018 per 200 dollari: è in acciaio, super resistente. Mi ha portato dal Tibet a Milano, poi da Milano a Lisbona e ora fino al campo base dell’Everest, senza mai darmi seri problemi. Certo, ho rotto qualche raggio, cambiato il deragliatore e sostituito la catena un paio di volte, ma è semplice da riparare e, anche con la mia poca esperienza, riesco a sistemarla quando serve. È robusta e, sebbene pesante e non particolarmente performante, ha resistito a 22.000 km di strade spesso disastrate, ed è ancora in perfetta forma. Ho solo aggiunto delle cinghie anteriori e posteriori per i bagagli.”
Le quattro vie per l’Estremo Oriente
Dall’Europa all’Estremo Oriente si diramano quattro grandi vie, e Claudio ne ha già percorse tre: ora vuole chiudere il cerchio. Sono passati dieci anni dalla sua prima avventura, in cui ha seguito principalmente il percorso della Transiberiana. Due anni dopo ha intrapreso la Via della Seta settentrionale, e nell’ultima traversata la sua bici lo ha condotto lungo la Via della Seta meridionale, attraverso il Caucaso. Ora, ispirato dal leggendario Hippie Trail, vuole ripercorrere l’itinerario dei giovani viaggiatori degli anni ’60 e ’70, diretti alla scoperta della cultura orientale. Attraversando Afghanistan e Pakistan, punta a raggiungere l’Hindu Kush, una catena montuosa che aveva già ammirato dal lato tagiko.
“Sono le montagne che hanno attraversato figure come Marco Polo, Alessandro Magno e Tamerlano. Volevo incontrare i Kalasha, una popolazione indigena pakistana che, si dice, discenda dai soldati di Alessandro Magno.”
“Come rifare due volte lo Stelvio”
Un viaggio in solitaria in questi territori è pieno di incognite: si è costantemente esposti alle condizioni ambientali, allo stato della bici, alla propria resistenza fisica e agli incontri imprevisti lungo il percorso. Basta qualche giorno di pioggia per rallentare e stravolgere i piani. “Un tragitto di 10.000 km copre quasi un quarto del mondo, e lungo la strada ci si trova ad affrontare ogni tipo di terreno e clima,” spiega Claudio. “Sicuramente, la parte più dura è stata quella finale, con due passi montani sopra i 2.400 metri. Sono partito dai 1.000 metri, e in pochi giorni è stato come affrontare il passo dello Stelvio… due volte!”
Ma è l’Afghanistan a lasciare un segno profondo anche su un viaggiatore esperto come Piani. Qui, nel deserto, dove le temperature toccano i 41 gradi, ogni pendenza diventa una sfida. L’assenza di infrastrutture complica tutto: senza frigoriferi né elettricità, è quasi impossibile trovare cibo fresco e acqua potabile, mettendo a dura prova la resistenza fisica. L’ambiente sociale è altrettanto impegnativo, con decine di curiosi – a volte anche ostili – che si radunano attorno a lui e seguono ogni sua mossa. E poi ci sono i Talebani: Claudio viene fermato di frequente per controlli, durante i quali può trovarsi con un’arma puntata contro o addirittura bendato e condotto in basi segrete per ulteriori verifiche.
Alcuni consigli per chi sta progettando una grande avventura in bicicletta
Lasciare tutto e partire sembra affascinante e liberatorio, ma non basta il coraggio impulsivo di cui si legge spesso sui social. Certo, coraggio e determinazione sono fondamentali, ma ci vogliono anche consapevolezza e buon senso. “A chi sogna un viaggio come il mio consiglio di provarci, assolutamente, ma con un minimo di preparazione e organizzazione. Non sono partito da un giorno all’altro dicendo ‘vado in Tibet o in Nepal in bici passando per l’Afghanistan’. È un percorso che si costruisce passo dopo passo, con l’esperienza necessaria. Dieci anni fa, un viaggio simile sarebbe stato impensabile per me: mi sarei fermato in Turchia. Cinque anni fa, forse, avrei mollato in Afghanistan.”
Cosa si prospetta nel futuro di Claudio Piani?
Oggi Claudio Piani è tornato a Milano, dove pensa di fermarsi per un po’ e dedicarsi al lavoro, magari come insegnante. Nel frattempo, ha raccolto tutte le sue esperienze in quattro libri —Vagabondiario, Diario di un maestro in Cina, Una vita incredibile e I diari della bicicletta — disponibili su Amazon. E chissà, forse in futuro riprenderà un vecchio progetto: fare il giro del mondo in bici, esplorandolo un angolo alla volta. Attraversare l’Amazzonia, poi proseguire in bici per Cile e Bolivia e completare il Sud America, per poi, un giorno, continuare il viaggio e tornare in Tibet.