E che festa di maggio sia, magari con qualche tocco d'azzurro
Remco Evenepoel favorito d'obbligo del Giro d'Italia che parte sabato... sempre se non fa la fine di Carlo di Valois. L'iridato dovrà fare attenzione agli INEOS oltre che a Primoz Roglic. Cinque nomi per il pedale italiano
Non credo ci siano dubbi sul fatto che il Giro d'Italia numero 106, che partirà dalla Costa dei Trabocchi sabato prossimo per concludersi a Roma sui Fori Imperiali nel tramonto di domenica 28 maggio, possa vantare la partecipazione più qualificata degli ultimi 10 anni. Spaziando un po' più indietro nel tempo, partendo dal 2005 anno di nascita del World Tour, ritengo che solo 15 anni fa ci sia stata una starting list più nobile. Infatti, nel 2008, alla partenza da Palermo, si schierarono al via i vincitori dei tre grandi giri dell'anno precedente: Danilo Di Luca, Alberto Contador e Denis Men'šov. Quella edizione della corsa rosa innescò un cambiamento definitivo. In precedenza, dal 1997 al 2007, il Giro d'Italia era stato fortemente autarchico, caratterizzato dal successo solo di corridori italiani. Ci furono le doppiette di Ivan Gotti, Gilberto Simoni e Paolo Savoldelli, inframezzate dagli assoli di Marco Pantani, Stefano Garzelli, Damiano Cunego, Ivan Basso e Danilo Di Luca.
A causare questo repentino innalzamento di livello fu un colpo di fortuna, o sarebbe meglio dire di presuntuoso autolesionismo da parte dell'ASO, la società organizzatrice del Tour de France. Lo squadrone Astana, che aveva in buona sostanza ereditato l'organico della Discovery Channel di Johan Bruyneel, fu esclusa dalla corsa francese per il suo sospetto coinvolgimento nella famigerata Operación Puerto. Angelo Zomegnan, all'epoca patron del Giro, con un piratesco colpo di mano a pochi giorni dall'inizio del Giro, riuscì a ottenere dall'UCI il permesso di concedere alla formazione kazaka una wild card, portando così sulle strade italiane quella che, all'epoca, era indubbiamente la compagine meglio attrezzata al mondo per le grandi corse a tappe.
Alberto Contador conquistò così la sua prima vittoria nella corsa rosa. Richiamato in fretta dalle vacanze, il madrileno, chiaramente non al massimo della forma, vinse con la testa ancor più che con le gambe senza conquistare neanche una tappa, scavando la differenza a cronometro dove Marzio Bruseghin fu l'unico capace di tenergli testa. Solo nella terz'ultima tappa, che terminava sulla vetta bergamasca del Monte Pora, il madrileno rischiò d'andare alla deriva. Un geniale attacco da lontano della LPR di Di Luca, lanciato da Savoldelli nella discesa del Passo del Vivione, andò vicino a far saltare il banco. Contador, quel giorno, trovo lungo la strada amici preziosi in gruppo che gli permisero di rintuzzare l'azione del Killer di Spoltore in tandem con un imberbe Vincenzo Nibali. Due giorni dopo a Milano la vittoria del Pistolero segnò in modo irreversibile la fine del Giro d'Italia in versione casareccia.
Dall'edizione centenaria del 2009 a oggi, con alti e bassi qualitativi nella partecipazione straniera, il Giro si è sempre più trasformato in una corsa internazionale a pieno titolo in cui l'elemento italiano, lentamente ma costantemente, è diventato sempre più marginale. Da allora, solo Ivan Basso, che nel 2010 bissò il successo di quattro anni prima, e Vincenzo Nibali, due volte vincitore, 2013 e 2016, nel contesto di ben sei podi, hanno fatto suonare l'inno di Mameli e Novaro in occasione della premiazione finale. Sul Trofeo senza Fine, relativamente all'edizione 2011, è inciso il nome di Michele Scarponi, imbarazzato beneficiario della squalifica postuma inflitta a Contador al termine d'una corsa da lui dominata in modo simile a quanto faceva, ai suoi tempi, Eddy Merckx.
Il Giro 2023 dovrebbe costituire la consacrazione d'un nuovo messia delle due ruote: Remco Evenepoel. Il fiammingo vestirà la maglia iridata proprio come Merckx, suo coetaneo nel 1968 in occasione del primo dei suoi cinque trionfi in rosa. Esiste, tuttavia, la possibilità che Remco finisca per replicare la discesa nello Stivale di Carlo di Valois nel 1494. Per onore di cronaca, va ricordato che il sovrano francese, per curiosa coincidenza anche lui 23enne all'epoca della sua impresa, usci dalla Penisola con le ossa rotte, la sua marcia trionfale essendosi trasformata a Fornovo, sull'Appennino parmense, in una disfatta totale. Evenepoel, a mio avviso, ha il suo tallone d'Achille nella squadra la cui tenuta sulle tre settimane è tutta da verificare, essendo il Wolfpack da sempre una compagine dedita alla conquista delle corse d'un giorno.
Nella prestigiosa starting list allestita quest'anno da RCS non mancheranno, per l'enfant prodige di Aalst, avversari d'alto lignaggio nella lotta per il successo finale. Personalmente, più che lo sloveno Primoz Roglic, vedo nel team INEOS Grenadiers l'avversario principale della maglia iridata. La compagine britannica dispone di due frecce al suo arco nel contesto d'un ottetto di solidità collaudata per le corse di tre settimane. Il gallese Geraint Thomas, vincitore del Tour de France 2018 e terzo nell'ultima edizione della Grande Boucle, e il londinese Tao Geoghegan Hart, unica maglia rosa autunnale nella storia della corsa oltreché il solo in gara ad aver già vinto il Giro, potrebbero costituire per il fiammingo un rebus di difficile soluzione.
Altre squadre, seppur su scala minore, replicano la filosofia della doppia punta. La Bora-Hansgrohe, vincente un anno fa all'Arena di Verona con Jai Hindley, dirottato quest'anno sul Tour de France, punta sul russo Aleksandr Vlasov, già quarto nel 2021 alle spalle d'Egan Bernal e quinto nel luglio scorso in terra di Francia. In questa compagine, però, presterei occhio anche al tedesco Lennard Kämna, vittorioso 12 mesi fa sull'Etna ma soprattutto autore del forcing decisivo sul Passo Fedaia che stroncò definitivamente la resistenza di Richard Carapaz, consegnando al Giro il suo primo vincitore oceanico.
La UAE Team Emirates, orfana di Tadej Pogacar, schiera, in prima fila, il regolarissimo portoghese João Almeida ma possiede nel canguro Jay Vine, passato con successo dal virtuale Zwift alle asperità della strada, la potenziale grande sorpresa della corsa. Infine, non va dimenticata la Bahrain-Victorious che, insieme all'australiano Jack Haig, presenta l'italiano più accreditato a ben figurare: il 35enne ragusano Damiano Caruso. Due anni fa, tra lo scetticismo di molti, misi la mia reputazione in gioco pronosticando il podio di Caruso, poi secondo a Milano alle spalle di Bernal. Dopo un 2022 al limite del disastroso, culminato nella non partecipazione ad un Giro in cui, ripetendo la forma del 2021, avrebbe potuto competere per la vittoria assoluta, non riesco a rinnovare l'ottimismo di 24 mesi fa. Pur avendo il siciliano preparato a puntino la corsa rosa, ritengo molto difficile che possa ripetersi. Mai quanto in questo caso sarò felice di sbagliare.
Passando dalla classifica generale ai cacciatori di tappe e potenziali aspiranti alla maglia ciclamino, quattro corridori si segnalano nettamente sugli altri: Mark Cavendish si schiera, probabilmente per l'ultima volta, al via con l'intendimento di aggiungere qualche scalpo alle 16 tappe già conquistate a partire proprio da quell'edizione 2008 di cui si è ampiamente parlato. Torna al Giro dopo tre anni di assenza Michael Matthews, il campione di Canberra già vincitore di due tappe e portatore per otto giorni della maglia rosa in passato. Infine, dalla terra di Amleto arrivano due corridori da prendere con le molle. A Magnus Cort Nielsen, vincitore di frazioni a Tour e Vuelta, manca solo un successo al Giro per entrare nell'esclusivo club di coloro che hanno conquistato successi in tutti i tre grandi giri. Stesso discorso vale per il suo più illustre connazionale Mads Pedersen. Il carneade che nel gelido Mondiale di Harrogate nel 2019 negò la conquista dell'iride a Matteo Trentin è diventato un fior di campione capace di lottare alla pari al recente Giro delle Fiandre con i divini Pogacar e Mathieu van der Poel. Pedersen viene al Giro con il chiaro intendimento di doppiare la conquista della classifica a punti già ottenuta all'ultima Vuelta a España.
Nel poco spazio che verrà lasciato da questo poker d'assi, gli azzurri, orfani di Giulio Ciccone, punteranno le loro fiche principalmente su questo quintetto: Diego Ulissi, che con le sue otto vittorie di tappa è il plurivincitore italiano in gara, Alberto Bettiol, a segno in Australia in apertura di stagione ma poi scomparso dal radar, l'enigmatico Gianni Moscon di cui tutti attendiamo la resurrezione dopo l'amara conclusione della Parigi-Roubaix 2021, Lorenzo Fortunato, il bolognese conquistatore dello Zoncolan due anni fa che potrebbe anche tentare di curare la classifica, e il trevigiano Andrea Vendrame, che, come Fortunato, disporrà d'una squadra che correrà solo per lui. Sarebbe bello che uno tra questi ragazzi, o ancor più qualcuno non menzionato, ci regalasse un sorriso.