La neve, lo sciopero e il gigante neutralizzato
Inizia oggi una rubrica dedicata ad alcune grandi salite d'Europa. Cominciamo dal Passo del Rombo e dall'assurda tappa del Giro 1988 in cui questa maestosa cima delle Retiche fece la sua strana comparsa nella storia del ciclismo
Sarebbe banale parlare di salite arcinote, blasonate; non è meglio piuttosto, soprattutto per la prima puntata, tirare fuori qualcosa di inaspettato? E cosa c'è di più inaspettato di una salita che è passata alla storia perché i corridori non avrebbero voluto percorrerla? Una salita che ci racconta una storia attualissima, affine con gli scioperi e i tagli che stanno caratterizzando gli ultimi anni di ciclismo e in particolare le ultime edizioni del Giro d'Italia, ma allo stesso tempo profondamente diversa, tanto da darci, forse, la soluzione a momenti un po' assurdi come la non-partenza di Morbegno 2020.
Tutto comincia da una delle tappe più celebri della storia del Giro, quella di Bormio 1988: è il giorno della bufera del Gavia, che ha segnato un confine tra passato e futuro, rimembrando Gaul sul Bondone nel '56 e insinuando il dubbio che fosse un evento sostenibile per il ciclismo moderno. Ma non parleremo di questo, piuttosto punteremo sulle conseguenze, sulla reazione che ebbe il gruppo dopo una tappa tanto epica per il pubblico quanto tremenda per i "girini".
Il Giro di quell'anno voleva battere ogni record, salendo in tre tappe consecutive le tre vette più alte delle Alpi retiche, nonché alcune delle più alte di tutta Italia: il già citato Gavia, sua maestà lo Stelvio e l'inedito Rombo. Se sul primo si azzardò il transito sotto la bufera, il secondo fu annullato a priori l'indomani, togliendo ai corridori la possibilità di contestare l'organizzazione. E al terzo giorno il povero, indifeso Passo del Rombo - ufficialmente 2474 metri, 2509 secondo i cartelli in vetta (ma si sa che i cartelli sono sempre enfatici) - ha visto la sua apparizione troncata sul nascere da uno dei momenti più folli della storia del Giro.
Alla partenza della Merano-Innsbruck il gruppo dichiara di non aver alcuna intenzione di scalare e, soprattutto, scendere il Passo del Rombo se dovesse nevicare. Salendo il gruppo si ferma non appena cadono le prime gocce di pioggia mista a nevischio, per attuare il piano concordato con Torriani: ci si cambia, si monta in ammiraglia e si arriva a Sölden all'asciutto. Il problema è che non tutta la carovana è della stessa idea, sicuramente non i direttori sportivi (già c'era Bruno Reverberi, che criticò tanto l'infondatezza dello sciopero, quanto il fatto che non ci fosse unanimità d'intenti in merito allo stesso) e nemmeno tutti i corridori; si discute se si tratti veramente di neve e alla fine si decide che era solo pioggia, mentre lo svizzero Daniel Gisiger se n'era già andato.
Il gruppo riparte ma solo per poco, fino al momento in cui, sotto una delle gallerie che costellano la salita, Jean-Francois Bernard scende di bici e la parcheggia in mezzo alla strada, quasi fosse un doganiere che chiude la frontiera con l'Austria. Il gruppo sembra ormai proteso verso la neutralizzazione mentre è bombardato dalle proteste che si alzano dalle ammiraglie, ma a scombinare le carte ci pensa la Panasonic di Breukink, secondo in classifica, che rimonta in sella verso lo scollinamento imponendo la rincorsa di Hampsten, leader della corsa. Il resto del gruppo finisce in fretta di cambiarsi e, alla rinfusa, inizia la rincorsa.
Scendendo la Otztal la corsa prende una precisa conformazione, bipartita tra quella che ormai è la testa della corsa, formatasi quando Breukink e Hampsten hanno raggiunto Gisiger ed altri arditi che avevano tirato dritto, e il gruppo all'inseguimento in cui si riuniscono gli altri uomini di classifica, che dopo la conta si stanno organizzando per rintuzzare un ritardo di oltre 3 minuti. Un inseguimento di oltre 100 km durante il quale veniva valicata un'altra asperità a ridosso del traguardo: Mosern. I gruppi si selezionano e alla fine restano in testa 9 atleti: Vona (che sarà il vincitore con 4" di vantaggio sugli altri attaccanti), Vitali, Galleschi, Giovannetti, Vanotti, Breukink, Hampsten, Winnen e Delgado; gli altri concludono il folle inseguimento a soli 12" da Vona, ovvero 8" da Hampsten e Breukink, lasciando la classifica pressoché invariata. Il primo e unico caso di una salita durissima che incide sulla corsa non per le pendenze ma per l'accidia di chi la sta percorrendo. Un episodio che ci rimanda alla cronaca del passato più prossimo, con una piccola differenza: nel 1988 la protesta si risolse da sola con una manciata di temerari, forse un po' scortesi (per usare un eufemismo) che decisero di ripartire.
Il versante italiano del Passo del Rombo è una salita infinita che si inerpica sulle montagne di Ötzi (la mummia del Similaun ritrovata nel 1991); sembra abbinata per natura alla salita verso il ghiacciaio di Sölden, con cui formerebbe una magica accoppiata che il Giro d'Italia avrebbe a un tiro di schioppo, tanto da essere ardentemente desiderata da tutti gli appassionati. E il motivo di questo ardore è la stazza da gigante, degna di uno Stelvio, ma con meno tornanti.
Se i 48 tornanti dello Stelvio sono una serie di schiaffetti che alla fine ti prendono per sadismo provocando un insolito piacere, i 30 km di salita verso il Rombo sono un destro degno di Bud Spencer, anzi due, come i due lunghi gradoni in doppia cifra che contraddistinguono l'ascesa; due cazzotti al petto che tolgono il respiro proprio come i quasi 17 km che su l'uno e l'altro versante si snodano sopra i 2000 metri, dove l'ossigeno scarseggia e i ghiacciai si toccano con un dito.
Eppure questo gigante non è più stato avvicinato, quasi come se i cazzotti presi nel 1988 avessero lasciato il ciclismo e le persone che lo popolano letteralmente violati, senza possibilità di rivincita. Un'unica apparizione, nel 2017, quando gli organizzatori della celebre granfondo Ötztaler decisero di proporre una prova per professionisti. Ma durò il tempo di un'edizione, vinta da Kreuziger su Spilak e Ciccone; non c'era spazio nel calendario e la scarsa copertura televisiva suggerì di ridimensionarsi e dedicarsi solo alla granfondo. Insomma, dopo lo sciopero dei ciclisti, pure quello degli organizzatori: un intero movimento costretto al silenzio dal gigante inviolabile, almeno per ora.