Intelligenza Artificiale e ciclismo: dove si potrà arrivare?
L'IA fa passi da gigante sul percorso che la porterà a sconvolgere le nostre vite. Lo sport non è esente da tutto questo, anzi ne è già imbevuto fino al collo
Nel secondo atto dell’Amleto di Shakespeare, Polonio domanda al principe di Danimarca che cosa stesse leggendo, Amleto risponde: “Words, words, words”. In questo modo l’autore allude alla distanza tra le parole (le sue stesse?) e i fatti, la loro mancanza di senso e contenuto. La stessa cosa potrebbe dire oggi un preparatore atletico, con i mille dati a disposizione forniti da strumenti tecnologici sempre più sofisticati e precisi: “numeri, numeri, numeri”; medesimo dubbio amletico nel comprendere la realtà dei fatti.
Se Amleto avesse avuto a disposizione l’Intelligenza Artificiale (IA) avrebbe cambiato il proprio destino? I suoi dubbi sarebbero stati sciolti? Probabilmente no, la tragedia di Shakespeare è perfetta così com’è. L’IA invece sta già cambiando radicalmente le preparazioni atletiche dei professionisti, nel ciclismo e non solo, ed ancor di più lo farà in futuro. Vista la rapida diffusione della tecnologia, possiamo facilmente immaginare a breve anche il semplice amatore alle prese con questi strumenti.
In una recente intervista di Velo a Jeroen Swart, coordinatore delle prestazioni per l'UAE Team Emirates, si conferma quanto oramai l’analisi dei “big data” sia una realtà quotidiana nel mondo del ciclismo. Ad oggi più squadre professionistiche si affidano alla IA per prendere decisioni: dalla nutrizione, all’abbigliamento, per non parlare della simulazione di test aerodinamici e scelte ingegneristiche nella costruzione delle biciclette.
È difficile trovare un campo umano in cui l’IA non abbia un ruolo presente o futuro, e lo sport non poteva non esserne coinvolto. Si potrebbe dire niente di nuovo. Se anche nel calcio l’acquisto di un calciatore è basato sul algoritmi, figuriamoci se uno sport come il ciclismo, sempre attento, a volte anche troppo, ad ogni novità scientifica e tecnologica, non fosse pronto ad accogliere questa rivoluzione. Ciò che, però, rende davvero interessante l’intervista di Velo, è l’idea con cui ci si avvicina a queste tecnologie.
Swart afferma che stanno lavorando con un partner di IA, Presight, per leggere enormi quantità di dati di allenamento e prestazioni, più altre variabili che si possono inserire al fine di valutare quali fattori diano il maggior beneficio. Lui stesso si dichiara ignaro dei possibili vantaggi di tale strategia, ma non nasconde la sua fiducia, è convinto infatti che l’IA possa identificare altre variabili o modelli non ancora presi in considerazione. Nel prosieguo dell’intervista Swart dice: “Questa è la bellezza dell'IA, non ha nozioni preconcette - prende i dati e li analizza e sputa fuori un sacco di risposte, e poi le guardi e dici: 'ha senso, è reale?…". E se lo provi e trovi qualcosa di reale, allora sai di aver trovato qualcosa di nuovo”.
Se vogliamo, uno sguardo che è solo più fiducioso ma non lontano dal “Words, words, words” di Amleto; il dubbio che ciò che leggiamo sia reale (umanamente) rimane.
L'Intelligenza Artificiale è già parte del ciclismo
Le parole del coordinatore della UAE Emirates, però, evidenziano un importante cambio di metodo scientifico, che viene meglio specificato nello stesso articolo di Velo da James Spragg, psicologo e coach della Tudor Pro Cycling: “Ora quando noi umani conduciamo studi, partiamo con un'ipotesi che stiamo cercando di dimostrare. Ma l'intelligenza artificiale funziona in modo totalmente diverso. Si avvicina alle cose senza pregiudizi e guarda come le cose potenzialmente casuali possono essere raggruppate. Ha un enorme potenziale”.
La stessa affermazione si può estendere in tutti i campi scientifici e di ricerca umani: medici, ingegneristici, ecc. Siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione, che inevitabilmente modifica le nostre prospettive cognitive. Non c’è dubbio che da parte di alcuni preparatori nei confronti dell’IA ci sia una specie di fiducia religiosa, un oracolo di Delphi a cui chiedere lumi. Se il verbo della scienza è provare, quello della tecnologia è credere, allora con l’Intelligenza Artificiale siamo davvero al cospetto del Dio Apollo!
Senza allargarci troppo, cosa davvero succederà allo sport del futuro ed in particolare al ciclismo?
La prima cosa è che potrebbe rapidamente sparire la neo-professione del preparatore atletico, che già sta sostituendo, detronizzando, cambiando il ruolo dell’allenatore classico. Gli stessi strumenti tecnologici, oggi utilizzati dai nuovi sacerdoti dell’allenamento per raggiungere la migliore prestazione sportiva possibile, potrebbero in futuro tranquillamente fare a meno della figura umana. Il domani potrebbe riservarci un programma di IA a capo di un team di ciclismo, al posto proprio dello stesso Swart.
Sappiamo bene quanti posti di lavoro in tutti i campi siano in pericolo con l’IA, senza, ahimè, che ci sia una società politicamente pronta ad una vita libera dal lavoro. È altrettanto verosimile che la più sofisticata tecnologia a disposizione entri in conflitto con aspetti umani, psicologici e non solo.
In una recente intervista a Eurosport, Romain Bardet lamenta il declino e sparizione del fascino del ciclismo, il fatto “che una volta ci fosse un elemento umano più grande”, l’attuale mancanza di uno spazio autodidattico secondo il proprio sentimento. E come esempio positivo porta proprio il suo amico-rivale Thibaut Pinot, artista del pedale. Bardet si sente un semplice esecutore, non più protagonista, vede la scienza aver preso il sopravvento.
Affinché non si perda il senso dello sport
Una delle ragioni del grande successo del fenomeno culturale che chiamiamo sport è proprio questa: la possibilità di esprimere la propria personalità e cultura in una pratica. Il calcio più di altri sport, ma comunque non il solo, riesce in questo senso ad offrire il terreno, il campo ad una libera espressione culturale del singolo e del gruppo; basti pensare alla diversa filosofia di gioco del Brasile rispetto alla Germania o all’Italia. È questa la chiave del suo successo planetario.
La tecnologia erode questo aspetto dello sport? Verso quale tipo di pratica sportiva ci stiamo avviando? Il corpo dello sportivo diventa sempre più oggetto, annullando o riducendo ad una componente insignificante la sua soggettività. Avrebbe ancora senso per l’essere umano investire passione e tempo per una disciplina piuttosto che un’altra?
Possiamo pensare che i futuri programmi possano migliorare lo stato di salute generale, suggerendo (comandando?) esercizi e tipologie di allenamento per portare al massimo livello di prestazione il nostro corpo, ma ammesso che veramente questo avvenga (dubito), rimane comunque aperta la questione di come possa essere lo sport del futuro, quali saranno i sui significati simbolici. Forse sarà irriconoscibile ai nostri occhi, forse sarà sostituito da un altro fenomeno culturale; ma è oggi con il nostro approccio alle nuove tecnologie che scriviamo il suo domani, senza dimenticare tutte le altre componenti dello sport moderno: politiche, economiche, ecc.
Se c’è una cosa che ancora forse differenzia il nostro cervello dall’Intelligenza Artificiale è la cultura, nel senso del modo di intendere il mondo e la vita. Nel momento in cui rinunciamo a questo, mettiamo in discussione ed in pericolo il senso stesso di noi stessi.
Nel mondo della medicina questo è chiaro da tempo. L’utile ed indispensabile Evidence-Based Medicine (EBM) si scontra quotidianamente con i bisogni esistenziali di ognuno; è compito del medico mediare tra le verità scientifiche e i bisogni, la vita, le aspettative di ogni paziente. Tutti noi non ci sentiremo mai “curati” se non accolti umanamente.
Nel suo piccolo anche lo sport sta avendo lo stesso problema ed è giusto che rifletta bene di quando e come utilizzare queste tecnologie, utili ed insensibili come la EBM, ma con la necessità di cercare e lasciare continuamente spazio alla soggettività di ognuno; a rischio è lo sport stesso.
“The rest is silence”, le ultime parole pronunciate da Amleto prima che muoia. Ci sarà fortunatamente sempre una parte silenziosa alla tecnologia della nostra natura umana, ma mai come oggi è necessario difenderla.