I bolidi della Sei Giorni di Gand: spettacolo senza freni
Il fascino dei velodromi, la storia di una delle più antiche competizioni, la tecnologia delle biciclette da pista improntata a un unico dogma: la velocità
Il ciclismo nella parte settentrionale del Belgio è un’altra cosa. Non è più, lì nelle Fiandre, un semplice sport, ma uno strano fenomeno sociale, un sentimento collettivo; sorta di religione laica, persistente nel tempo come parte integrante della cultura fiamminga. Tutti, proprio tutti, lo seguono e ne discutono con competenza.
Alcuni appuntamenti ciclistici, durante l’anno, sono delle vere e proprie feste comandate. La festa tra le feste è sicuramente la Sei Giorni di Gand (Zesdaagse Vlaanderen-Gent). L’evento su pista indoor si disputa nella magnifica città capoluogo delle Fiandre orientali la seconda metà di novembre di ogni anno. Quella dello scorso anno è stata l’edizione del centenario – la prima è del 1922 – e le uniche interruzioni sono state per guerra, incendi e pandemia.
In questo novembre 2023 la manifestazione si è tenuta dal 14 al 19 nel Velodromo coperto ‘t Kuipke in Citadel Park, nel centro storico cittadino. La corsa d’altri tempi ancora una volta in scena. Caparbia rievocazione di un’antica modernità, legata a un mondo che non c’è più e che però, lì a Gand come in nessun altro posto ormai, è viva e attuale. La Sei Giorni attesa e sognata per tutto un anno perché un rito collettivo si deve compiere o forse soltanto perché fa’ “figo” bere innumerevoli pinte di birra in quell’atmosfera lì. Chi sa.
Al di là del rito e della festa, la corsa è corsa vera. L’evento più importante della specialità, il Super Bowl delle Sei Giorni. Gli specialisti ambiscono fortemente a entrare in un albo d’oro pieno di grandi stelle e i record fioccano sulla magica pista del Kuipke.
Per essere veloci e segnare tempi da record si usano bici particolari: senza freni e senza cambio. Vere e proprie macchine da velocità, neanche fossero le monoposto per la 500 miglia di Indianapolis. Aerodinamiche, stabili, rigide, leggère e con le ruote molto sottili; velocissime sul parquet di pino siberiano. Chi ama le bici ancora prima del ciclismo (come amare i violini ancor prima della musica, per intenderci) non può perdersi la spettacolare scaltrezza dei bolidi volteggianti sulle curve inclinate oltre l’inverosimile, nelle nottate invernali animate da folla di tutte le estrazioni.
Nottate Belle Époque
Alcune nottate vocianti al Velodromo ricordano le sei giorni degli esordi, cimeli del passato. Fotogrammi di corse in bicicletta un po’ retrò, ormai per molti versi in via d’estinzione. Sono state in auge nei primi decenni del Novecento; nella New York sfavillante, tra alta tecnologia, ricchezza e fiducia nel progresso. A pensarci, l’idea di quelle sei giorni fa venire in mente le grandi imprese tecnologiche di quegli anni. I Dirigibili. Il Titanic. Quella modernità lì.
I saloni di prima classe, tanto somiglianti ai parterre in mezzo alla pista; le coppe di champagne servite ai tavoli e l'orchestra che accompagnava con i ritmi americani. La terza classe degli spalti, lassù in alto, da dove si alzavano i cori d’incitamento e si sobbalzava sulle panche di legno a ogni prodezza che fosse accaduta in pista. E i corridori che un tempo venivano segregati nei sotterranei del grande palazzo, separati dal resto del mondo, come fossero fuochisti a fare girare le eliche.
Prima della Grande Depressione, le sei giorni sono state l’evento sportivo più diffuso nelle grandi città statunitensi; molto più del baseball o del basket. Divi di Hollywood, gangster e gente comune, tutti pazzi per le sfide del Madison Square Garden. Poi, come sempre nella storia, vennero tempi bui e il fatuo ottimismo svanì; naufragò in un lampo come l’inaffondabile simbolo di quell’epoca.
Rimane di quel tempo l’eredità della prova principe nelle sei giorni contemporanee: la Madison. La prova si corre in coppia, dandosi spettacolari cambi con i lanci all’Americana. Si tenta così ad andare in “caccia”, guadagnare giri sulle altre squadre in corsa. Caotica ma spettacolare; determina in gran parte la classifica finale, alla fine delle sei serate.
Dopo l’epopea americana le sei giorni tornarono nei palazzetti d’Europa: Londra, Zurigo, Anversa, Berlino, Gand. Il periodo di grande popolarità fu tra gli anni ’50 e gli anni ‘80. Poi, inesorabilmente, una dopo l’altra, le sei giorni chiusero. Adesso le manifestazioni sono poche e vengono ridimensionate e ridotte. La storica manifestazione di Berlino è stata portata a tre giorni. Ma tutto ciò a Gand non accade.
Fiumi di birra al 't Kuipke
Qui il tempo si è fermato, nulla scalfisce l’atmosfera di ricorrenza festosa. La baraonda è la stessa di sempre; come sempre il palazzetto è colmo di gente entusiasta che non riesce a decidersi se buttarsi subito all'interno della pista per unirsi alla grande festa della birra o aspettare ancora un po’ sugli spalti a osservare che il programma di gare abbia inizio.
Alla gara partecipano 12 coppie di atleti che prendono parte alle varie prove. In alcune è richiesta la partecipazione di entrambi i componenti della squadra, in altre solo di uno di loro, fatto che permette periodi di recupero alternati. I punteggi e la classifica riguardano comunque la coppia, che solidale partecipa per la conquista delle varie prove.
Il programma delle gare comincia alle 20: sulla pista si fa la presentazione delle coppie. Queste, appaiate, cominciano a girare in pista e lo speaker presenta ognuno dei protagonisti della serata. La musica aumenta di volume; gli altoparlanti, enfatici, raccontano degli atleti e i boccali si alzano in loro onore.
La pista è molto tecnica: corta (166 m), con curve strette e ripide (52%). Una delle piste più veloci in assoluto. Anche quest’aspetto fa della Sei Giorni di Gand una prova unica.
Mentre la serata, sulla pista, propone un ricco programma di specialità diverse, tutte con alto contenuto tecnico e grande spettacolarità (eliminazione, cronometro, super sprint, corsa dietro derny, Madison) la festa a centro pista impazza. Il pubblico sugli spalti accompagna con applausi e cori le azioni dei vari beniamini. Dal parterre i canti aumentano con l’aumentare delle ore e delle pinte. La corsa è magnifica; la festa, anche.
Le track bikes
Abbiamo detto che le bici da pista (Track bikes) evocano – usando molta fantasia e cambiando le cose che devono essere cambiate – i bolidi in gara a Indianapolis. La fantasiosa assonanza con l’evento automobilistico è suggerita dal comune, ossessivo, girare in tondo sulla pista, sempre a sinistra, e dalla condivisa ricerca della massima velocità raggiungibile con il mezzo a disposizione. Il tipo di gara ne definisce forme e caratteristiche.
Perciò le bici da pista differiscono significativamente da quelle da strada pur dimostrando, a un primo superficiale sguardo, una certa somiglianza. Le grandi differenze sono determinate dal fatto che in pista, al coperto, quasi tutte le variabili di cui deve tener conto una bici sono azzerate. Non più vento laterale, sedi stradali sconnesse, ripide salite, tornanti, discese tecniche o pioggia; solo liscio parquet di pregiata conifera e giri da inanellare ad altissime velocità.
Le differenze sono evidenti a un successivo, più attento, sguardo. In generale gli angoli sono meno acuti: tubo piantone e tubo sterzo più perpendicolari al terreno, più “in piedi”, per dirla in gergo. Il tubo orizzontale, in proporzione, più corto per ottenere manovrabilità alle alte velocità in pista. Il movimento centrale molto alto per traiettorie fluide nelle curve inclinate e rapida manovrabilità. Lo si vede a occhio nudo: i foderi bassi posteriori sono paralleli al terreno, a indicare il movimento centrale posto circa alla stessa altezza del mozzo della ruota.
Un po’ sconcertante agli occhi di un neofita: le track bikes non hanno freni. Sulla pista non occorre frenare: le curve paraboliche servono ad aumentare sempre più la velocità in uscita, ma anche a rallentare in entrata; la destrezza dei corridori fa il resto. Il sistema consente, agli uomini esperti, la regolazione delle accelerazioni e della velocità, attraverso il collegamento diretto tra la pedalata e la rotazione delle ruote.
La bici ha una corona singola nella parte anteriore e un singolo ingranaggio nella parte posteriore. Non c’è il cambio e la ruota libera: nessuna possibilità di avanzare per inerzia. Bisogna continuare a pedalare sempre; dosando la pedalata o contropedalando, si governa il mezzo con le gambe. Tutto giocato sul filo dell’alta velocità e delle traiettorie più ardite.
Per le prove in pista è di fondamentale importanza trovare il rapporto giusto da montare. La scelta non è per nulla banale, dipende da innumerevoli fattori: lo stato di forma dell’atleta; il tipo di gara; la sua lunghezza; la pista su cui si corre; la strategia che si vuole adottare in corsa. Trovarsi con un rapporto troppo duro o troppo agile nel momento cruciale determina l’esito della prova senza possibilità di rimedio. Negli ultimi tempi si tende a montare rapporti sempre più duri. Per pedalare sulla pista del Kuipke però, bisogna alleggerire: le curve strette e i rettilinei corti suggeriscono agilità. L’utilizzo di rapporti molto lunghi – si usa anche il 62x15 in alcune prove di eliminazione - sta cambiando questo sport, ma al Kuipke no: il Kuipke ci riporta alla tradizione.
Come già detto, in pista indoor l’elemento meteorologico è nullo, perciò la scelta delle ruote da montare può non tenerne conto. Si guarda solo all’aerodinamica. Molto frequente l’uso di ruota lenticolare sul posteriore e a razze sull’anteriore. La scelta è condizionata da necessità di leggerezza. Le ruote con cerchi alti e raggi si montano quando si cerca di massimizzare questo aspetto.
Per salire in pista si deve fare molta attenzione alle gomme. Vengono rodate prima dell’uso e accuratamente pulite prima dell’ingresso in pista. Sono di sezione stretta, mediamente 21mm, e vengono gonfiate a pressioni alte, mediamente 12 bar.
Modernariato di fascino
Tanto altro ancora ci sarebbe da dire a proposito di bici da pista e sull’impatto che la loro tecnologia esercita nelle prestazioni. La ricerca in questo campo è ricerca pura. In laboratorio per limare quel decimo di secondo che farà la differenza.
Ma non è solo questo. Le piste affollate e fumose hanno una storia da raccontare; una storia piena di fascino che, anche se perduta, di tanto in tanto è bello ritrovare. Come quando si va al mercatino e si trova quel vecchio sofà anni ‘50: un po’ impolverato, ma tanto chic. Ecco, i bolidi sul tondino di legno – senza pensare alle luci stroboscopiche che un po’ rovinano tutto – hanno quel fascino da non perdere. Pertanto, a tutti i partecipanti alle nottate del Kuipke, “Prosit”.