Cicloproiezioni: The Program
Viaggio divertito nel ciclismo secondo il cinema, nona puntata: il film sull'ascesa e la caduta di Lance Armstrong
Negli anni in cui tutto gli girava bene, si parlava in continuazione di un film sulla storia di Lance Armstrong. Si leggevano ipotesi di titoli, registi, attori. Poi invece le cose sono andate come sappiamo e ci dobbiamo accontentare di The Program, che racconta l'ascesa e la caduta in disgrazia del texano senza preoccuparsi delle sfumature. Uscito nel 2015, il film fatica a condensare le vicende di un uomo che, per eventi di vita e complessità umana, meriterebbe una serie di Netflix lunga diverse stagioni.
Eppure la pellicola sembra partire bene: vediamo un ciclista solo, in maglia gialla, nel silenzio più totale che non siano rumori della bici e respiro, scalare in slow motion la montagna, andando così in alto da entrare in pratica nelle nuvole...
Non per niente il regista è l'ottimo Stephen Frears (fra i suoi tanti bei film basti citare My Beautiful Laundrette, Le relazioni pericolose, Eroe per caso, Alta fedeltà, The Queen, Philomena), uno che ci sa fare con la macchina da presa.
Poi certo l'entusiasmo scema subito perché tocca fare uno spiegone su cosa sia il Tour de France, e allora parte una serie di immagini di repertorio che alterna in pochi secondi gesta di grandi campioni e rovinose cadute come se fossimo a Paperissima Sprint
Ma eccoci all'inizio della storia vera e propria, al Tour del 1993. Qui troviamo David Walsh, il giornalista che ha scritto il libro da cui è tratto The Program, che intervista un giovane Armstrong durante una partita a calciobalilla. L'occasione si rivela buona soprattutto per mettere insieme un altro po' di luoghi comuni e frasi retoriche sulla Grande Boucle. A interpretare Lance abbiamo Ben Foster, che abbiamo visto in diverse produzioni famose, e ci piace ricordare nel recente Hell or High Water
Come niente fosse passiamo subito però alla primavera del '94, durante le classiche del Nord. Che Armstrong nel Tour precedente abbia vinto una tappa o che poche settimane dopo si sia laureato addirittura campione del mondo, sono dettagli che evidentemente non interessano gli sceneggiatori.
Ma torniamo alla trama. Al ritrovo di partenza Lance fa conoscenza con un corridore della Once, che per una vaga somiglianza potremmo sulle prime supporre essere Laurent Jalabert, invece scopriremo poi trattarsi di Johan Bruyneel. In ogni caso sembra un ciclista che ha passato l'inverno a mangiare cioccolata con Jan Ullrich
“Hai vinto tutte quelle corse in America” gli dice Bruyneel come complimento, dimenticando anche lui che sta parlando con il campione del mondo in carica. Il dialogo dunque risulta parecchio surreale per chi conosce appena un po' il ciclismo. Ma la produzione si fa perdonare almeno in parte grazie alle maglie che, per tutto il film, sono quelle originali degli anni novanta e duemila
Parte la gara (non si dice mai di quale prova si tratti, e appare lampante come per motivi contrattuali gli autori non potessero nominare altra corsa che il Tour de France), tutti subito a fare un'andatura folle come nelle kermesse americane. E vabbé.
Vediamo tre Gewiss davanti e una salita che sembra il muro di Huy, così pensiamo si tratti della Freccia Vallona. Ma subito dopo arriviamo in un tratto di pavé degno della Parigi-Roubaix, e allora non è più così chiaro. Lance in ogni caso lo staccano tutti, sia sugli strappi che sulle pietre
Ci ritroviamo alla conferenza stampa dei primi tre, che sono della stessa squadra, e capiamo che non può che trattarsi della famosa Freccia della tripletta Gewiss. Facciamo conoscenza anche con il medico del team. Lo riconoscete?
Già, proprio lui (interpretato da un molto somigliante Guillaume Canet). Il dottore spiega ai giornalisti come l'epo in realtà non sia pericolosa, a meno che non se ne abusi, e del resto in Svizzera si può comprare persino senza ricetta. I ragazzi della Motorola intanto si domandano se è il caso che anche loro inizino a doparsi. E in un momento indovinate dove li ritroviamo?
Nella farmacia svizzera si susseguono una sequenza di tentativi imbarazzati di comprare epo, nemmeno fossero adolescenti con dei preservativi, ma Armstrong sa che da solo il doping non basta. Così va a trovare Ferrari nel suo camper: vuole seguire “il programma” dei suoi corridori. Ma il dottore lo gela: ha troppi muscoli nella parte superiore del corpo per avere successo.
Pur senza le conoscenze specifiche del Dottor Mito, Lance porta a casa qualche bella vittoria (con Blitzkrieg Bop dei Ramones a fare da sottofondo). Quando le cose sembrano andare tutto sommato bene, ecco però che scopre di avere un tumore. Quindi operazioni, chemioterapia e tutto quello che ne consegue.
Tornato a casa, il suo fisico è ovviamente nelle pessime condizioni facilmente immaginabili, ma il texano riprende subito a pedalare. E la soccer mom che lo passa in tromba con una bici da passeggio diventa solo uno stimolo per impegnarsi di più
La chemio però gli ha anche fatto perdere tutta la massa muscolare del tronco, così può tornare da Ferrari con nuove prospettive. Il dottore lo accoglie a casa sua con un maglione che personalmente ci lascia assai più perplessi che non il doping ematico.
La collaborazione fra i due inizia e anzi va subito alla grande, fra test, allenamenti, epo, e vari monologhi alla Blade Runner del dottore.
Intanto Armstrong chiama il vecchio amico Bruyneel a dirigere la Us Postal (unica formazione a dargli fiducia dopo la malattia). Saltando a pie' pari (ma ormai senza sorpresa) il 1998 – cioè i primi buoni risultati, i piazzamenti alla Vuelta e al mondiale – ci ritroviamo direttamente al Tour del '99, dove le Alpi diventano occasione per un po' di inquadrature fichette
Con Mrs Robinson in versione Lemonheads a fare da colonna sonora, seguiamo qualche passaggio della corsa, il doping, i titoli entusiasti dei giornali, i dubbi di Walsh, certi discorsi motivazionali di Lance alla squadra degni della più dozzinale convention aziendale, fino ad arrivare al podio sui Campi Elisi, dove possiamo notare come l'attore che interpreta Escartín abbia il fisico più da velocista che da scalatore, mentre quello che fa Zülle è chiaramente un bambino
Grazie al trionfo parigino il ciclista americano può lanciare la sua fondazione Livestrong, e nelle due stagioni successive si conferma in maglia gialla. I Tour del 2000 e del 2001 vengono liquidati in quindici secondi netti di film (della rivalità con Ullrich e Pantani non deve essere giunta notizia agli autori), mentre largo spazio viene dato all'ingaggio di un giovane ciclista americano di belle speranze, Floyd Landis
Interpretato da Jesse Plemons, Landis – considerata la sua storia personale – meriterebbe un film a sua volta. Lance lo prende sotto la sua ala protettiva e gli spiega anche come doparsi. Nei momenti buoni e in quelli difficili, Floyd ha sempre lo stesso identico broncetto
Al Tour 2002 Landis svolge bene il suo lavoro da gregario ed è tutto contento quando Bruyneel gli offre un rinnovo biennale. Il Tour 2003 è il più combattuto dell'era Armstrong, l'unico che l'americano rischiò di perdere sulla strada, ma nel film non ve n'è traccia. In compenso ci sono le solite cose sul doping (valori ai limiti nascosti, sacche e trasfusioni sul pullman della squadra, conferenze stampa "non sono mai risultato positivo a nessun controllo", indagini giornalistiche).
Ma il vero problema arriva quando Ferrari viene indagato dalla giustizia italiana, e quindi durante il Tour 2004 (ormai è chiaro a tutti che i fatti possono svolgersi solo durante la corsa francese, no?) viene messo in scena anche il famoso episodio fra Lance e Filippo Simeoni. La cosa che più ci incuriosisce dal nostro punto di vista di cicloproiezionisti è che a interpretare Simeoni è l'ex prof Kevin Hulsmans
Landis però, cuore d'oro, ci rimane male per il comportamento del suo capitano. E quando scopre che Bruyneel vende le bici del team per finanziare “il programma”, si arrabbia talmente da decidere che preferisce andare a prendere il testosterone in un'altra squadra.
Floyd è già in maglia Phonak quando Armstrong annuncia il suo ritiro sul podio di Parigi, nel 2005
Non c'è il tempo di preoccuparsi per il Lance pensionato che Landis già vince il Tour 2006. Sul podio Klöden è incredibilmente somigliante, mentre Pereiro è nascosto dal bambino, cosa che ci fa sospettare si tratti dello stesso attore che interpretava Escartín
Sappiamo tutti cosa successe a Landis nei giorni immediatamente successivi a quella premiazione (non che il film indaghi particolarmente la cosa, fra l'altro). Intanto Lance fa la vita della star, fra interviste e spot pubblicitari, conferenze e fondazione, ma chiaramente si annoia. E qui il texano commette lo sbaglio che gli costerà tutto: decide di tornare a correre. Persino Bruyneel cerca di scoraggiarlo, come si vede dal suo entusiasmo una volta ricevuta la notizia
Armstrong infatti, come gli faceva giustamente notare il suo direttore sportivo, ha ormai i suoi anni, mentre ci sono giovani che hanno fame e vanno forte. Fra questi si distingue un suo nuovo compagno di squadra, che infatti vincerà la maglia gialla. Le immagini di gara del Tour 2009 sono pochi secondi e tutti di repertorio (ma con No surprises dei Radiohead in sottofondo), e Lance è solo terzo sul podio dove primeggia Contador, nel film interpretato da un fotomodello
Ma l'insuccesso sportivo non sarà il problema principale per Armstrong. Landis infatti cerca di tornare a correre a sua volta, e gli telefona per farsi ingaggiare nel suo nuovo team. Il texano rifiuta e Floyd per ripicca va a spiattellare tutto all'Usada, l'agenzia antidoping americana
Certo, ci perdiamo pure il 2010 ciclistico di Lance, per arrivare direttamente a processi e squalifiche e Oprah Winfrey. Ma da un film che cerca di racchiudere in cento minuti una storia così complessa e sfaccettata non possiamo pretendere troppo, e dobbiamo tollerare l'aver lasciato per strada tanti spunti narrativi potenzialmente interessanti, nonché il prevalere di personaggi bidimensionali e tagliati con l'accetta. Ma dobbiamo proprio?