Lance: in un documentario l'ascesa e la caduta della superstar del ciclismo
Dalle strade del Tour allo scandalo doping. Un Armstrong inedito nel lavoro di Marina Zenovich: la sicumera di un tempo, le lacrime per Jan Ullrich, l'astio nei confronti della regista
Lance Armstrong non ha certo bisogno di presentazioni: vincitore di sette Tour de France consecutivi dal 1999 al 2005, tutti poi revocati a seguito di uno scandalo per doping, e sopravvissuto a un cancro ai testicoli diagnosticato nel 1996. La sua parabola sportiva è stata tanto epica quanto la sua caduta in disgrazia: dopo anni di smentite, nel 2013 ha ammesso pubblicamente di aver fatto uso di sostanze dopanti, diventando uno degli atleti più controversi nella storia dello sport. Ma chi è davvero Armstrong, un eroe o un bugiardo? Lance (2020), il documentario diretto da Marina Zenovich e disponibile su Disney+, prova a rispondere proprio a questa domanda.
Già vincitrice di due Emmy Awards per Roman Polanski: Wanted and Desired e di altri riconoscimenti per Robin Williams: Come Inside My Mind, Marina Zenovich è specializzata in documentari biografici, ma con Lance si confronta per la prima volta con un protagonista che partecipa attivamente alla narrazione. Diviso in due episodi di un’ora e trentacinque minuti ciascuno, dedicati rispettivamente all’ascesa e alla caduta della superstar del ciclismo, il film è il frutto di diciotto mesi di lavorazione e decine di interviste. Tra i tanti testimoni ci sono Ivan Basso, Christophe Bassons, Floyd Landis e Tyler Hamilton, oltre allo stesso Armstrong, di cui emergono tutte le sfumature: dall'umanità alla spregiudicatezza.
Una leggenda sulle strade del Tour, ma anche un uomo incline a scontri feroci
Come molti eroi shakespeariani, Lance Armstrong è tutt'altro che un personaggio semplice: ambizioso e dotato di una volontà incrollabile, ha saputo superare avversità fisiche e psicologiche che avrebbero piegato chiunque. Questo lo ha reso una leggenda sulle strade del Tour, ma anche un uomo incline a scontri feroci con compagni, rivali e critici. Sempre sicuro di sé, spesso fino all'arroganza, dopo lo scandalo doping il suo atteggiamento aggressivo e difensivo ha ceduto il passo a una versione più riflessiva e, a tratti, più umile, soprattutto durante la confessione pubblica con Oprah Winfrey. Eppure, mentre risponde alle domande della regista Marina Zenovich, emergono ancora chiaramente la sua natura competitiva e il desiderio di essere al centro dell'attenzione.
Armstrong vorrebbe riscrivere la propria storia con una narrazione a lui più congeniale, e questo è evidente sin dai primi momenti in cui appare sullo schermo. Racconta subito di come, dopo la sua confessione, si aspettasse insulti e critiche ogni volta che si fosse mostrato in pubblico, e di quando, in effetti, questo sia accaduto. “Ho perdonato tutti” ripete più volte, e per un attimo è facile dimenticare che le accuse che gli erano state mosse erano vere. Tuttavia, l'atleta non ha avuto la possibilità di conoscere in anticipo le domande né di rivedere e approvare il girato, permettendo così di far emergere la complessità dell’uomo dietro lo scandalo. Un momento particolarmente toccante è quando Lance si commuove parlando di Jan Ullrich: nessuno prima lo aveva mai visto piangere.
Armstrong non ha più ricontattato Marina Zenovich
La critica ha generalmente apprezzato il lavoro di Marina Zenovich per la profondità con cui esplora la complessità di un soggetto così controverso, evitando sia l'agiografia che la condanna facile. Il documentario mantiene un equilibrio notevole, presentando sia i lati più umani di Armstrong che le sue manipolazioni e bugie, lasciando al pubblico il compito di trarre le proprie conclusioni. Il diretto interessato, invece, sembra non aver molto gradito il secondo atto del film, al punto che, dopo averlo visto durante una proiezione privata in Texas, non ha più ricontattato Zenovich.
Nonostante il carattere spigoloso, i numerosi errori e l’imperdonabile decisione di mentire per anni sull’uso di doping, Armstrong rimane un essere umano affascinante e complicato. La sua dedizione alla fondazione Livestrong, il ruolo cruciale nella raccolta di fondi e nel sostenere la ricerca, insieme all'emozione suscitata dalle sue imprese sportive, rendono più complicato condannarlo senza appello e rappresentano aspetti che non possono essere sottratti né a lui né a coloro che hanno seguito le sue gesta.