Gianluca Vialli, Dino Baggio, il doping: una roulette pazza
Il clamore delle dichiarazioni dell'ex calciatore in seguito alla morte del collega riaccende i riflettori su un tema che però non andrebbe discusso sull'onda emotiva di un lutto e che soprattutto imporrebbe un cambio di cultura nell'intero sport
Hanno destato molto clamore le dichiarazioni di Dino Baggio, attraverso le quali, nell’esprimere il cordoglio per la morte di Gianluca Vialli, l'ex centrocampista della nazionale ha posto il dubbio di una possibile relazione del tumore con certe sostanze assunte dai calciatori di allora.
Intervenuto in una trasmissione di una rete locale (Tv7 Triveneta), Baggio ha fatto molto rumore anche perché si è espresso al contrario, dato che quando diceva “doping" ("facevamo il doping", “nei miei anni c'era il doping”…) intendeva “antidoping”, e questo in effetti si coglie ascoltando le sue parole nell'occasione. A parte il buffo misunderstanding, resta comunque il senso dei timori dell'ex giocatore di Torino, Inter, Juventus, Parma e Lazio: “Bisognerebbe risalire a quello che abbiamo preso, alle sostanze che abbiamo utilizzato in quel periodo”. Baggio parlava di integratori, anche se il sottotesto invitava a pensare ad altro, e infatti il suo assist è stato subito colto da diversi colleghi dell'epoca, che in questi giorni stanno esprimendo le medesime preoccupazioni per la propria salute.
Non desta certo sorpresa che calciatori della stessa epoca di Vialli possano avere dubbi, paure per se stessi e gli ex compagni, ma è anche vero che la morte prematura di alcuni campioni del passato non deve essere la scusa per trarre facili conclusioni. Chi come noi ama il ciclismo sa bene come sia possibile distorcere una narrazione sul doping, come si traggano semplici deduzioni e, soprattutto, sentenze su questo argomento.
L’ammissione di Dino Baggio è l’ultima di molte, già altri ex calciatori avevano in passato espresso preoccupazioni simili; giusto ricordare la storica intervista-denuncia di Carlo Petrini al Corriere della Sera del 7 dicembre 1998, in cui il calciatore descrive di iniezioni rosse, falsi controlli antidoping e di come il calcio sia “una roulette pazza, chi va in disgrazia non rimedia soccorritori”.
Non bisogna cadere in conclusioni affrettate, come quella di una certa correlazione tra doping e tumore. Per stabilire se l'ipotesi sia veritiera sarebbe necessario un grande studio epidemiologico ed, in caso di correlazione statistica, ulteriori studi causa-effetto che sapessero individuare le sostanze o agenti responsabili. Tutt’altro che semplice, un lavoro mastodontico per certi versi, ma concordiamo tutti con Dino Baggio che “bisogna capire”, con la scienza, evitando supposizioni.
In attesa di studi epidemiologici, intanto sarebbe il caso che calciatori, medici sportivi, dirigenti del calcio raccontassero quello che avveniva in quegli anni, non per una giustizia a distanza, ma per mettere in guardia, educare gli atleti di oggi. È difficile credere che certe pratiche nel calcio siano sparite, se così fosse sarebbe davvero una grande notizia.
Per costruire una nuova cultura sportiva è necessario che la verità storica sia raccontata chiaramente, di mezze ammissioni e del detto-non detto non ce n’è bisogno. Serve che questa rivoluzione parta proprio da loro, dagli atleti, senza un fine giustizialista, ma per una nuova visione, per un mondo dello sport che metta in primo piano l’atleta, la sua salute, la sua fragile natura umana.
È giunto il tempo di cambiare radicalmente la narrazione del doping, in tutti gli sport; di porre al centro di essa la salute dell’atleta in primis e, solo secondariamente, la validità del risultato sportivo. Una narrazione che si interroghi sul significato del doping nello sport, non come un soggetto estraneo ad esso, ma come una conseguenza di una precisa cultura del limite che è essenza dello sport moderno.
Un sistema antidoping che semplicemente combatta l’uso di sostanze dopanti non è più sufficiente, il problema è più complesso e riguarda il liberare l'atleta dalla spinta a mettere a rischio la propria salute, riparametrando la citata cultura del limite su una dimensione di rispetto del corpo e della natura dell'atleta-uomo. Questioni di una certa rilevanza che vanno discusse, studiate e affrontate a freddo, non dopo un lutto importante.
In questa rubrica riprenderemo in futuro a scrivere del tema doping, senza facili supposizioni, disquisizioni moraliste e, tantomeno, lucrando su una triste scomparsa. Comprendo la preoccupazione, la paura, ma per affrontare certi temi è necessario che non si attenda la perdita di un ex-collega e la carica emozionale, sicuramente sincera, che l’accompagna. Nel vero senso della parola, Luca Vialli Riposi in Pace!