La verità è che i ciclisti hanno ragione ma noi voteremmo per lo schiavismo
I fatti del Giro d'Italia mettono in evidenza tutte le resistenze ottocentesche a cui le altre parti in causa sottopongono l'associazione dei corridori. Si può voltare pagina se Adam Hansen, presidente CPA, fa seguire i fatti alle belle parole
Oggi voglio provare a proporvi una cosa. Consideriamo i corridori del Giro d'Italia dei meri e semplici lavoratori, e non l'oggetto del nostro divertimento. Un cambio di prospettiva che può fare la differenza. Mi ha ispirato in questo pensiero leggere quanto Adam Hansen, il presidente del CPA (il sindacato internazionale dei corridori), ha scritto ieri su Twitter e che qui vi traduco. Una presa di posizione che, come dicono in quella lingua, changed my mind: mi ha cioè aiutato a modificare un mio modo di vedere e di pensare.
"Lo dirò molto chiaramente. Il mio compito è rappresentare i corridori, non convincerli, cambiare le loro posizioni e sicuramente non schierarmi con gli organizzatori, l'UCI o i tifosi. Non sono qui per fare amicizia con organizzatori, UCI, squadre o anche tifosi. Non è la mia voce quella che diffondo, ma la voce dei corridori. Permetto loro di nascondersi dietro di me e dico quello che vogliono che si dica.
Io ero un corridore. Voi, da tifosi, potreste leggere che un ciclista va a casa a causa di una caduta di qualche giorno prima o di un'influenza. Ma io so che se un corridore torna a casa per un'influenza, essendo in una cosa importante come il Giro, quel corridore avrà corso con quell'influenza per giorni, e lottato e sofferto in modi che non sono visibili in TV per giorni prima di decidere di fermarsi. Accade molto di più di quello che i fan vedono. Il ritiro è l'estrema decisione per un ciclista, una completa resa, e prima di arrivare a quel punto un corridore è in grado di andare ben oltre il proprio limite a volte per intere settimane.
Conosco le malattie che attraversano le squadre, e la salute dei corridori è la mia priorità. Piove, non c'è problema. Aggiungiamo 4 gradi di temperatura, aggiungiamo una discesa dove non puoi pedalare e quindi la temperatura corporea via via si abbassa. E aggiungiamo una tappa che è tutta in salita fin dall'inizio, che mette in fila il gruppo e lo spezzetta in molti drappelli diversi per cui le ammiraglie non possono supportare i propri corridori: dare loro un abbigliamento adeguato fa la differenza.
Qual è questa differenza? Più di 10 corridori sono tornati a casa per malattia. Il giorno dopo, altri 10 ciclisti tornano a casa malati e oggi? Vediamo. Ora, questi corridori stanno facendo i conti con tutto questo da giorni. I tifosi non lo sanno. I tifosi non sanno se nelle ultime 24 ore 20 ragazzi sono tornati a casa, il che significa che altri 40 stanno ancora correndo pur essendo malati. Io queste cose le so. È salutare correre una tappa così impegnativa mentre si è malati? E c'è la pressione di squadre, tifosi, contratti e ogni parte in causa che contrasta l'opinione dei corridori i quali chiedono una tappa più corta per la propria salute.
Nessun medico degno di questo titolo sarebbe d'accordo che qualcuno ammalato trascorresse 5 ore bagnato al freddo con una frequenza cardiaca superiore a 170 mentre il corpo è già affaticato. Hai ragione. Loro possono essere sostituiti se non vogliono farlo e, a dire il vero, alcuni team e organizzatori vedono che sono solo cavalli da corsa, spingili! Possiamo sostituirli, a chi importa!!!
A me importa. Se voi, organizzatori, sponsor, UCI o tifosi preferite rischiare la salute di questi corridori per il vostro divertimento, ciò dimostra proprio che loro hanno bisogno di qualcuno che stia dalla loro parte, come me".
Un cambio di prospettiva, dicevo. Il passaggio che mi balza all'occhio è lì dove Hansen scrive “la pressione di squadre, tifosi, contratti e ogni parte in causa che contrasta l'opinione dei corridori”. Mi è tornata alla mente la resistenza che, da che mondo è mondo, la sindacalizzazione dei lavoratori ha incontrato e incontra lungo il proprio percorso. Non è un momento ideale, diciamolo pure, per i lavoratori di tutto il mondo. Il capitale finanziario impera in maniera sempre più violenta e capillare, le attività antisindacali sono all'ordine del giorno, le leggi vanno sempre più a favore dei forti e dei potenti come se le lancette del tempo fossero state messe indietro di 70 o 100 anni.
E in tutto questo precipitare di eventi noi ci preoccupiamo dei diritti di lavoratori superpagati come i ciclisti del World Tour? Beh, sì: il fatto che determinati lavoratori siano pagati molto non implica che debbano rinunciare alla facoltà di individuare i propri diritti e farli valere nelle sedi opportune; che abbiano stipendi alti poi ci porterebbe a chiederci quanto questi sportivi fanno guadagnare a chi li paga, ma è un discorso che ci porta lontano e che al momento non è rilevante approfondire.
In questi tempi ci rendiamo conto (ci dobbiamo rendere conto) che non c'è un prezzo - pur alto che sia - che possa avere il potere di mettere il lavoratore al di sotto della tutela della propria salute. È un discorso che su Cicloweb abbiamo già affrontato nei giorni scorsi in merito al ritiro di Remco Evenepoel, e che voglio con forza riproporre dopo il caso della tappa numero 13 del Giro d'Italia 2023, tagliata dei due terzi rispetto al disegno originario.
La domanda base è: cosa ha spinto i corridori a chiedere la modifica del tracciato? La volontà di tutelare la propria salute. Lasciamo per un attimo da parte tutte le altre istanze, le vediamo dopo. Per un attimo concentriamoci solo su questo punto: è negoziabile la tutela della propria salute da parte di un lavoratore? Ognuno risponda secondo la personale sensibilità, ma sono convinto che in tanti questo quesito non se lo siano nemmeno ancora posto.
Non appena un subordinato (quale il corridore è) decide di far valere un proprio diritto, incontra resistenze. Quella basica nel nostro caso è “si è sempre fatto così, perché cambiare?”. Lo dicevano i padroni delle ferriere quando gli operai chiedevano di lavorare 13 ore anziché 14, a fine ‘800. Dite che vado troppo indietro coi paragoni? Ma proprio oggi ho sentito in tv dei paralleli coi Tour di Henri Desgrange e dei “forzati della strada”, come se 120 anni fossero passati invano. “È chiaro che le cose da allora sono cambiate”, ti aggiungono come uno zuccherino dopo un litro di amaro, ma allora perché citare ancora quel dannato Desgrange e quei dannati Tour de France di un secolo fa se le cose sono cambiate?
Non mi pare che al cospetto di uno sciopero dei metalmeccanici certi alati opinionisti dicano “eh sì, volete un aumento in busta paga, ma sapete quanto guadagnava un lavoratore nel 1903? Certo, le cose son cambiate…”. Non lo dicono perché si prenderebbero molte pernacchie e forse anche diversi insulti; il ciclismo però è una zona franca, la gente che pedala non lavora ma si diverte, e quindi non rompano, questi privilegiati, col chiedere troppe tutele.
Le prese di posizione antisindacali sono l'assoluta maggioranza sui media grandi e piccoli. “Ai nostri tempi” è un'altra delle resistenze dialettiche che dovrebbero essere infine picconate, un bel giorno radioso. Gli ex professionisti hanno tutti dei ricordi eroici nel proprio background, peccato che tendano a dimenticare che qualche protesta l'hanno fatta pure loro, ai tempi. Eh, ma loro avevano delle ragioni, questi di oggi invece sono delle mammolette che vogliono solo evitare di far fatica. Ma se volevano evitare di far fatica avrebbero scelto un mestiere sedentario, non credete? No, decisamente questo non è un argomento che entri in certi ragionamenti un tanto al chilo.
Per quel che riguarda le condizioni meteo, poi, c'è un continuo rimpallo pretestuoso per cui se i corridori chiedono di rivedere un percorso il giorno stesso si sentono dire “non potete rivoluzionare una corsa un attimo prima della partenza!”, che non è altro che quello che i ciclisti si son sentiti dire la mattina di Scandiano, quando chiedevano di annullare il passaggio dal Passo delle Radici; bene, allora facciamo le nostre richieste il giorno prima, per dare il tempo agli organizzatori di trovare delle soluzioni; se facciamo così, però, dobbiamo basarci sulle previsioni meteo del giorno prima, maggiormente passibili di errore. E in quel caso allora ti dicono “perché non avete aspettato il giorno della corsa per vedere come effettivamente evolveva il meteo?”. Questo rimpiattino l'ha ben spiegato proprio Adam Hansen in un altro tweet oggi.
Altra dinamica antisindacale: siccome non basta il giochino testé riportato e bisogna a tutti i costi minare la credibilità di una presa di posizione del gruppo, ecco che si mettono in discussione le modalità di una decisione. Decide il presidente del sindacato? Non va bene, dovrebbe sentire i corridori. Si svolge una votazione in cui il 90% degli interpellati si esprime in una determinata maniera (basandosi su ciò che conosce al momento del voto)? Non va bene neanche questo, si mette in dubbio la veridicità dei numeri perché “tanti corridori la tappa volevano farla per intero”. Ma tanti chi? Fatalmente si vanno a intervistare i due o tre che si sono espressi in maniera contraria e si riportano in maniera ossessiva le loro parole, instillando nel pubblico l'idea che abbiano nel gruppo un peso paritetico rispetto alle posizioni di chi ha votato per il taglio della tappa. E invece, anche se ripetute 100 volte, quelle frasi continuano a rappresentare il 10% dei corridori del Giro. Però a casa arriva una percezione opposta.
Il massimo dei comportamenti antisindacali arriva poi quando il delegato del CPA presente al Giro va in tv e come prima cosa si scusa con tutti a nome dei corridori perché a posteriori abbiamo visto che la tappa si sarebbe potuta svolgere nella sua interezza. Ma di cosa ti scusi, Salvato? Sei sicuramente un bravissimo ragazzo, ma non puoi fare il sindacalista. Il nostro Christian ha detto peraltro cose che vanno in contrasto con quanto dichiarato solennemente dal suo presidente Adam Hansen: laddove l'australiano dice “il mio compito è rappresentare i corridori, non convincerli, cambiare le loro posizioni”, il suo delegato ammette “io provo a mediare tra le posizioni dei miei rappresentati e quelle degli organizzatori”. Mettetevi d'accordo, amici.
Ora, ci sarebbe da chiedersi come mai se un bel giorno Unione Ciclistica Internazionale e RCS Sport decidono di far disputare il Giro d'Italia due settimane prima rispetto a quanto avveniva fino agli anni ‘90, alla lunga le distorsioni di questa scelta (che emergono anni dopo di pari passo con un cambiamento delle condizioni climatiche e con un aumento strutturale dell’instabilità meteo) debbano ricadere sui corridori. I quali si ammalano di più, rischiano più cadute correndo in condizioni difficili, si ritrovano a svolgere il proprio lavoro non al meglio. E sarà diritto di questi lavoratori eccepire qualcosa? O sempre muti e pedalare, perché vi paghiamo per quello?
Allora, invertiamo un po' la rotta. Cominciamo dal prendere coscienza che la presenza del sindacato va riconosciuta e rispettata.
Poi però - non per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ma proprio in base a questa presa di coscienza - cominciamo a pretendere di più anche dal sindacato stesso. Ora che alla presidenza c'è uno che vive il ruolo come una missione, che parla da sindacalista e dice quello che da sempre avremmo voluto sentire da un sindacalista dei corridori, ebbene, se lo viva fino in fondo questo ruolo.
Adam Hansen non è al Giro d'Italia, e questa è una grave mancanza. Avrebbe dovuto sapere che proprio alla corsa rosa, ormai storicamente, si verificano le peggiori distorsioni in termini di rapporti tra corridori, organizzatori, gruppi sportivi, enti istituzionali del ciclismo. Hansen doveva essere al seguito della corsa rosa; dovrà esserci il prossimo anno, per forza. Forse fa in tempo a presenziare almeno nell'ultima settimana quest'anno.
Il CPA ha l'obbligo di strutturare la propria azione in modo da essere realmente efficace, in modo da incidere, in modo da inscrivere l'occasionale richiesta di un giorno in un disegno più ampio, dotato di progettualità. E quella progettualità va ricercata e costruita insieme alle altre parti in causa. Per esempio: dovrebbe essere interesse primario del CPA andare a bussare all'UCI per avere lo spostamento del Giro alle sue date originarie, due settimane in avanti. Una soluzione strutturale a un problema che, se si ripete praticamente tutti gli anni, smette di essere una questione emergenziale ma diventa una costante, e come tale va trattata.
L'UCI non ci sente da quell'orecchio? Allora scioperate. Ma non al Tour de Langkawi (con tutto il rispetto), e nemmeno al Giro dei Paesi Baschi. Dovete scioperare al Tour de France. Alla prima tappa del Tour de France. Non un rinvio di 10 minuti della partenza: uno sciopero fatto e finito, vero e proprio. "Correte voi". Scommettiamo che tante ali si abbasserebbero all'indomani di una protesta tanto clamorosa? Scommettiamo che i corridori si vedrebbero riconosciuti finalmente come l'elemento principale del ciclismo e non come un accessorio da tenere buono con qualche caramellina?
E una nuova posizione di forza di quello che sinora è stato l'anello debole dell'intero circus permetterebbe anche di sistemare tutta una serie di altre cosette; dando ai corridori una consapevolezza di sé e una coscienza di classe che manderebbe definitivamente in soffitta isteriche e vergognose sceneggiate tipo Morbegno 2020, perché a quel punto saprebbero, i ciclisti, di poter agire a un livello superiore, ma essendo perfettamente integrati in un sistema che prevede che simili figuracce vadano evitate per il bene di tutti. Un riconoscimento per loro che andrebbe di pari passo con una responsabilizzazione figlia dell'attribuzione di un ruolo politico che ad ora non hanno. Un riconoscimento che spingerebbe nel passato anche le trattative in stile Borgofranco d'Ivrea, “togli questa salita, lascia quella discesa”, che fatalmente si coniugano al ribasso.
Utopia? Fantascienza? Non lo so. Ma dalle parole di Adam Hansen questo traggo e non altro. Se mi sbaglio, se mi trovo al cospetto dell'ennesima macchietta cialtronesca delle tante che ho visto in decenni di ciclismo, il problema non sarà nel mio eventuale eccesso di fiducia ma in chi oggi si autoattribuisce uno spessore che evidentemente non ha. Se però non mi sbaglio, abbiamo davvero l'occasione di entrare in una nuova epoca per lo sport ciclismo. Sta a voi, rappresentanti e rappresentati del CPA. Vieni al Giro, Adam Hansen: facci vedere davvero di che pasta sei fatto, facci restare a bocca aperta. Personalmente, non aspetto di meglio.