Il colle dei Morti, del Pirata e del Falco
Questo mese parliamo di una salita fuggente per davvero: ha folgorato i girini in un caldo pomeriggio di maggio, ma è assente ormai da 20 anni; eppure c'è chi la ritiene la salita più dura di sempre
Laddove le Alpi sembrano veramente un muro di sasso (come scriverebbe una coppia di autori emiliani) si fanno inospitali, soprattutto per il terzo millennio, età in cui l'inurbamento e l'abbandono dei paesi d'altura non sono una tendenza ma un fatto compiuto. Eppure ci sono casi in cui l'uomo sembra fare di tutto per restare attaccato al suo territorio, compiendo l'atto apparentemente semplice ma per niente banale di mantenere vive le tradizioni. Così il nome di Castelmagno si conserva nella mente di molti, quantomeno dei cultori della gastronomia, grazie al formaggio che qui viene prodotto; nome a cui ormai fanno riferimento a malapena i 56 abitanti censiti nel 2021, numero tristissimo, briciole degli oltre 1400 abitanti che invece popolavano il comune sparso a fine '800. Mentre pochi superstiti continuano a produrre un formaggio che esiste da almeno otto secoli, la Val Grana accoglie ancora visitatori - magari non tanti quanto un tempo - più a monte, presso il Santuario di San Magno, sorto a partire da una piccola cappella quattrocentesca per devozione popolare.
Al santuario si veniva a pregare, ma anche a confessarsi ed ottenere indulgenza. Insomma la salita fino a qui, poco sotto quota 1800 metri, per quanto impegnativa, era sinonimo di redenzione e portava alla benedizione. Ma l'uomo non si è peritato a spingersi oltre, dove la montagna si sveste del suo cappotto di conifere ed il sasso viene mascherato ormai solo da sprazzi di manto erboso dall'aspetto ingannevolmente soffice. E la strada prosegue fino a quasi 1500 metri, facendosi maledetta, talmente maledetta da condurre ad un passo che i locali conoscono come Colle dei Morti. Quassù, nel 1744, durante la Guerra di successione austriaca, un manipolo di soldati dell'esercito franco-spagnolo cadde in un agguato dei savoiardi, generando una sanguinosa battaglia rimasta impressa nella memoria locale.
Questo è quello che ci dicono cultura e tradizione, è quello che ci dice il popolo. Il potere invece stampa le mappe, dove compare nitida una strada militare che sale al Colle della Fauniera, nome ufficiale prestato al passo dalla vicina cresta rocciosa. Ed è con questo nome che la strada salì alla ribalta delle cronache quando Carmine Castellano concesse di salire fin quassù, non prima di aver asfaltato la tremenda discesa sulla Valle Stura che plana in un susseguirsi di curve cieche fino a Demonte. Ed in bici appare evidente come dietro l'aspetto paradisiaco del panorama si celi il diavolo, una strada maledetta che non perdona, tanto in salita quanto in discesa: Ormezzano parlò di un versante terribile e di uno orribile, l'unica impressione possibile per chiunque salga al Fauniera e poi riscenda, indipendentemente dal senso di marcia.
Alla vigilia del 29 maggio 1999, durante il giorno di riposo, i capitani della Banesto José Maria Jimenez e Alex Zülle si recano a visionare la temuta scalata, rendendosi conto che è peggio di quanto pensassero: addirittura il primo - scalatore di razza che avrebbe vinto sull'Angliru in occasione della sua prima apparizione alla Vuelta pochi mesi dopo - dichiara che si tratta della salita più dura che avesse mai visto. Perché il Fauniera è l'ibrido perfetto fra la lunga scalata alpina che non dà tregua e le grandi pendenze; non ci sono rampe da ribaltamento, ma se non fosse per qualche tratto di respiro, la pendenza non mollerebbe mai la doppia cifra. Il Fauniera è uno Stelvio rinforzato e Jimenez aveva capito che non avrebbe lasciato scampo.
L'altimetria della Bra - Borgo San Dalmazzo al Giro 1999
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24 ore dopo, nonostante avesse lanciato a se stesso questo monito, lo scalatore spagnolo - forse illuso dalla vicinanza del santuario e avvolto da un'aura mistica - scatta in faccia al treno della Mercatone Uno pilotato da Simone Borgheresi e apre le danze. Di tutta risposta Pantani, a mani basse come suo solito, lo riprende e tira dritto con Ivan Gotti a ruota. Jimenez resiste per un po', poi molla; quando Pantani arriva al santuario è già solo e non poteva essere altrimenti: è un pirata con indosso una bandana, non certo un santo dotato di aureola, e quando la strada si fa maledetta e maledettamente infinita gli altri non hanno scampo. Jimenez resta per un po' a galla, con un ritmo non dissimile da quello di Gotti, poi deflagra in vista dello scollinamento e inizia ad accumulare minuti di ritardo senza che si abbia il tempo di contarli (saranno più di 20 al traguardo di Borgo San Dalmazzo).
In vetta scollina per primo Missaglia, seguito da Caucchioli e Peña (fuggitivi della prima ora), ma Pantani ce li ha ormai nel mirino e transita con soli 32" di ritardo dal terzetto ed 1' di vantaggio su Gotti. La salita terribile è terminata ma la discesa orribile attende ancora i corridori, tant'è che Pantani dirrà che l'attacco aveva soprattutto lo scopo di poter affrontare la discesa senza prendersi troppi rischi. Chi invece i rischi non li teme, anche perché è in grado di prenderseli con una maestria mai vista, è Paolo Savoldelli, transitato ad oltre 2' da Pantani. Si dice che in certi luoghi osino solo le aquile, sintesi con cui è da includersi un vicino parente, ovvero il falco, ed in bici di falchi ce n'è (e probabilmente ce ne sarà) soltanto uno. Savoldelli plana con una sicurezza che fa paura, una naturalezza tale da trasformare la strada a picco sul baratro nella traiettoria di volo di un rapace. Supera Tosatto, Simoni, Clavero, Cabello e si riporta su Ivan Gotti, l'unico abbastanza pazzo da accodarsi al Falco con cui rientra su Pantani (accompagnato da Caucchioli e Peña) a meno di 7 km da Demonte. Ma a Savoldelli non basta: si disseta un momento, riparte da dietro ed entra a kamikaze nelle curve cieche in mezzo alle case di Trinità, rimanendo immediatamente solo all'inseguimento di Missaglia; al termine della discesa paga soltanto 12" dal fuggitivo e ne ha già 40 di vantaggio su Pantani. In 24 km di discesa il Falco aveva mangiato al Pirata (lui stesso ottimo discesista) quasi 3'.
A Borgo San Dalmazzo, dopo che l'arcigna salita alla Madonna del Colletto ha ulteriormente selezionato i più forti, Savoldelli arriva da solo, ottenendo il suo primo successo alla Corsa Rosa e salendo in seconda posizione in classifica generale, alle spalle di Pantani, nuovo leader. Proprio il Pirata si prende il secondo posto di tappa davanti a Clavero e Gotti, con un ritardo di 1'47" dal Falco.
Il Fauniera è poi diventato il sogno proibito del Giro: nel 2001 era la penultima salita del tremendo tappone con arrivo a Sant'Anna di Vinadio, annullata su richiesta dei corridori dopo le perquisizioni dei NAS a Sanremo durante la nottata. Nel 2003 ricomparve in forma lievemente ridotta, con GPM al vicino Colle d'Esischie, che si raggiunge svoltando a destra a circa 1.5 km dalla vetta. Quel giorno anticipava il non meno temibile Colle di Sampeyre e la salita a Chianale in una giornata da tregenda funestata da neve e grandine, che resterà una delle tappe più dure del Giro mai viste sia per il percorso che per lo svolgimento.
Da allora non si è più visto alla Corsa Rosa: è stato teatro di accesi scontri tra gli U23 al Giro delle Valli Cuneesi e l'anno scorso al Giro d'Italia U23. Tutti sperano che questo sia di buon auspicio per rivederlo nuovamente teatro di battaglie epiche tra i grandi. Ha impiegato una sola giornata per segnare un'intera generazione ed entrare nella mente degli appassionati; una fama che dopo 20 anni di assenza non ha ancora perso: il suo nome ormai è nella storia, tanto quanto il Pirata e il Falco, le cui storie si legarono in un afoso pomeriggio di maggio, facendo incontrare il mare e il cielo su quel muro di sasso chiamato Fauniera.