Caro Tadej, davvero pensi di poter vincere il Giro tra dieci anni?!
Tanto è il tempo che si sarebbe dato Pogačar per conquistare la corsa rosa, ma resterà competitivo così a lungo? E in fondo anche l’Emiro e Colnago dovrebbero apprezzare due mesi di sovraesposizione mediatica
«Mi sono rimasti tre obiettivi da conquistare: il Giro, la Vuelta e i Mondiali. Si tratta di un sogno e di una sfida: vedremo quello che succederà nei prossimi dieci anni». Ma veramente, Tadej? Davvero ti dai dieci anni di tempo per mettere le mani sul Giro e sulla Vuelta? Questo è quanto appena dichiarato dal diretto interessato a Cyclingnews, e che fa il paio con altre, recenti esternazioni nelle quali il fuoriclasse sloveno aveva ribadito la centralità del Tour de France nei suoi programmi per la prossima stagione, a scapito non soltanto di un eventuale debutto al Giro d’Italia, ma anche delle sue amate classiche di primavera.
«Il Tour è la corsa più importante, le altre gare non si possono nemmeno paragonare, e agli sponsor interessa soltanto vincere quella», aggiunge nella stessa intervista un Pogačar in versione decisamente aziendalista, parlando forse più a nome dell’Emiro che non di sé stesso, se è vero quanto poi aggiunge solo qualche riga dopo, ammettendo che «sì, probabilmente essermi preparato per le Fiandre, le Ardenne e il Lombardia mi è costato qualcosa alla fine, e non è stato certo l’avvicinamento ideale (al Tour), ma questo è ciò che mi piace: affrontare sfide diverse nel corso dell’anno».
E qui, davvero, sembra venir fuori la più classica delle contraddizioni tra ciò che suggerisce la testa e quello che, invece, vorrebbe il cuore. Il punto è che per innumerevoli ragioni già spiegate in questa stessa rubrica e condivise pure da Simone Gambino nel suo Stendino, in realtà anche la testa dovrebbe far propendere Pogačar ed il suo staff ad eleggere il Giro d’Italia quale principale obiettivo del 2024 o, quantomeno, a non incentrare tutta la stagione sul Tour; rilanciando, piuttosto, la posta messa sul piatto delle classiche e di Olimpiadi e Mondiali, preannunciandosi, soprattutto il percorso iridato di Zurigo, particolarmente adatto alle sue caratteristiche.
Diversificare, insomma, dovrebbe essere la parola d’ordine per un corridore fortissimo su ogni terreno e potenzialmente vincente ovunque: un supereroe che, tuttavia, al momento ha proprio nella Grande Boucle e in Jonas Vingegaard la sua criptonite: con il rischio, concreto, di andarsi a schiantare per il terzo anno di fila. Il che, in presenza di un simile talento, sarebbe uno spreco imperdonabile.
Per cui se alla fine Tadej optasse davvero per puntare alla terza maglia gialla senza prima passare per la ricerca della rosa, e magari sacrificasse pure la sua campagna di primavera, a prevalere non sarebbe stata nemmeno la testa ma, più prosaicamente, il portafoglio. E con tutto il rispetto, anche a costo di apparire ingenui, riteniamo che un fuoriclasse della sua risma non possa subordinare i propri obiettivi a mere esigenze di sponsor, ma abbia, invece, il sacrosanto diritto di pensare al segno che intende lasciare nella storia di questo sport.
Storia dello sport per la quale, se si vuole entrare dal portone principale, conta molto di più la conquista della tripla corona – Giro, Tour e Vuelta – che non quella del terzo, o magari anche del quarto, trionfo nella sola gara a tappe francese. Che comunque, ribadiamo, resterebbe molto difficile da cogliere, con o senza il Giro nelle gambe.
Pensare, poi, di poter rimandare le campagne d’Italia o di Spagna alla soglia dei trent’anni se non addirittura oltre, come lascerebbe intuire quel riferimento «ai prossimi dieci anni» quale termine entro cui tirare un bilancio della propria carriera, è il più grande errore che Pogačar possa fare: perché oggi sarà pure un rampante 25enne, ma è un professionista vincente già da cinque stagioni e, per quanto fortissimo, è pur sempre un uomo. Quindi, ribadendo anche in questo caso un concetto già espresso più volte, non è affatto detto che la sua testa e le sue gambe tengano botta a certi livelli per chissà quante altre annate.
È adesso che il ferro è caldo e che, dunque, va battuto. Tanto più che nessuno osa chiedere a Tadej di tagliare il Tour dal proprio programma (magari!) ma, semplicemente, di non costruire la sua prossima stagione su quelle tre settimane. E crediamo che, una volta reso edotto di cosa significhi la doppietta Giro-Tour per la storia del ciclismo, anche l’Emiro potrebbe acconsentire al doppio impegno: se non per amore di questo sport – non ambiamo mica a tanto! – quantomeno proprio in ragione del ritorno mediatico, e quindi anche economico, che potrebbe venire dalla sovraesposizione di Pogačar già da maggio, attraverso la partecipazione alla corsa rosa da cui, peraltro, avrebbe ottime chances di uscire vincitore. Un’eventualità che, se ci pensiamo, non dovrebbe fare schifo nemmeno all’azienda fornitrice delle biciclette, Colnago, ancora italianissima nel brand se non più (ahinoi) nella proprietà divenuta, a sua volta, emiratina.
D’altra parte, se non ci fosse l’intenzione di venire al Giro, Tadej o chi per lui l’avrebbe già detto chiaro e tondo, anziché traccheggiare con le solite frasi «sui programmi ancora da definire con la squadra» e sulla difficoltà a tenere assieme tutti gli obiettivi. Vogliamo sperare, quindi, che certe dichiarazioni fatte ultimamente abbiano in realtà un significato ben preciso: e cioè che l’accordo con RCS Sport non c’è ancora, ma che le trattative proseguono, a riprova – semmai – che è appunto il portafoglio, più che la testa, a comandare. E che il 4 maggio, alla fine, Pogačar sarà al via del prossimo Giro d’Italia.