Andrea Vendrame: «Il mio sogno si chiama Milano-Sanremo»
Intervista al corridore veneto pronto a fare il salto nel World Tour con l’AG2R La Mondiale
Andrea Vendrame è cresciuto molto in queste ultime tre stagioni, nelle quali ha indossato la maglia dell'Androni Giocattoli-Sidermec. Quest’anno ad aprile è riuscito ad alzare le braccia al cielo in due occasioni, prima al Circuit Cycliste Sarthe e dieci giorni più tardi alla Tro-Bro Léon. L’AG2R La Mondiale, dopo queste ottime prestazioni in terra transalpina, si è interessata al veneto ingaggiando con un contratto biennale. Il passaggio in una formazione della massima serie è sicuramente stimolante per una delle speranze azzurre nelle corse di un giorno. Il corridore di Conegliano ripercorre questa stagione e racconta i suoi propositi per l’anno nuovo.
Con quali aspettative ti appresti ad iniziare la tua prima stagione con una squadra World Tour?
«L'obiettivo principale sarà quello di migliorarmi fisicamente, perché sotto questo punto di vista ci sono sempre molti margini di crescita. Per quanto concerne le corse, ho il desiderio di riconfermarmi sugli stessi livelli di quest’ultima stagione che ho corso con l’Androni Giocattoli-Sidermec, con la differenza che potrò mettermi alla prova in corse più prestigiose come la Milano-Sanremo e l’Amstel Gold Race: due gare che ho cerchiato con il pennarello rosso sul mio calendario»
Quando hai avuto il primo contatto con l’AG2R La Mondiale?
«Appena terminato il Giro d’Italia ho saputo dell’interessamento della squadra di Vincent Lavenu e, insieme al mio manager, ho optato di firmare per due anni. Avevo ricevuto diverse proposte ma ho ritenuto questa offerta come la più consona per il mio proseguo di carriera»
Hai già conosciuto qualche corridore della squadra francese?
«Da quando ho firmato il contratto con l’AG2R La Mondiale, ovvero alla viglia del campionato italiano su strada, ho sempre cercato di parlare con qualcuno di loro durante le corse. A novembre abbiamo fatto il primo ritiro e mi è stato molto utile per iniziare a conoscere i miei futuri compagni, i direttori sportivi e tutto lo staff. L’approccio è stato diverso rispetto a quello che avevo avuto tre anni fa l’Androni, perché se quest’ultima l’ho sempre considerata come una famiglia, l’AG2R la paragono ad un’azienda multinazionale»
In quale corsa debutterai nel 2020?
«La prima volta che indosserò la maglia in corsa sarà al Tour Down Under e sempre in Australia disputerò la Cadel Evans Great Ocean Race. La mia prima corsa italiana invece sarà il Trofeo Laigueglia»
A quali grandi giri pensi di partecipare l’anno prossimo?
«Di sicuro, per il terzo anno di fila, disputerò il Giro d’Italia. In squadra alla Corsa Rosa avremo il nostro capitano Romain Bardet, che punterà a fare bene in classifica generale. Per arrivare in buone condizioni a questo appuntamento, nel mio programma saranno inserite la Tirreno-Adriatico ed alcune classiche francesi. La seconda parte di stagione verrà programmata solo in un secondo momento e quindi non so se parteciperò ad altre grandi corse a tappe nel 2020»
Con l’AG2R La Mondiale potrai prendere parte alle classiche più importanti del World Tour. Quali sono quelle che desidereresti correre?
«La Milano-Sanremo è la corsa di un giorno che, più delle altre, preferisco e per me sarebbe un sogno vincerla un giorno. Purtroppo non ho mai avuto modo di correrla: non vedo quindi l’ora che arrivi il giorno della Classicissima per capire le mie reali potenzialità. Un’altra classica monumento molto affascinante è la Paris-Roubaix, tuttavia non vi prenderò parte nel 2020 perché per un corridore del mio peso sarebbe una corsa troppo ardua e non adatta alle mia caratteristiche. Non nego però che in futuro mi piacerebbe correrla perché tutti ne parlano come la classica più eroica che ci sia al mondo. Ad oggi però preferisco concentrarmi su altri obiettivi e guardare la Roubaix alla televisione sul divano di casa mia»
In questa stagione ha vinto la Tro-Bro Léon che è considerata come la Roubaix della Bretagna
«Il ricordo che ho di quella giornata è bellissimo. Penso che, assieme al Giro del Belvedere che vinsi quattro anni fa da dilettante con la Zalf, sia la vittoria che porto maggiormente nel cuore. Ad aprile avevo una grande condizione e proprio qualche giorno fa, quando stavo rivedendo il video degli ultimi venti km della Tro-Bro Léon, non riuscivo ancora credere a quello che avevo fatto. Durante tutto il giorno sono riuscito ad evitare ogni tipo di inconveniente ed è filato tutto liscio. All'ultimo passaggio sotto la linea del traguardo, quando mancavano 4.9 km, ho pensato che se volevo giocarmi la vittoria dovevo rientrare al più presto sui battistrada, perché altrimenti il sogno di vincere sarebbe svanito. Quindi ho iniziato un forcing incredibile e al principio dell’ultimo settore di sterrato sono rientrato sulla testa della corsa. Siccome l’arrivo tirava leggermente all'insù, ho giocato d’astuzia partendo da dietro. Più mi avvicinavo alla linea del traguardo e più capivo di avere la forza per spingere e rimontare gli altri corridori. Alla fine sono riuscito a vincere disputando una volata perfetta. Mi ha fatto molto piacere esser stato il primo italiano ad averla conquistata e spero di ripetermi presto»
Come premio per aver vinto questa classica francese hai ricevuto un maialino. Che fine ha fatto?
«Questo animale ha una storia molto lunga. Avevo scoperto che il vincitore si sarebbe aggiudicato questo premio molto particolare solamente alla viglia della corsa, quando a cena il mio direttore sportivo Giampaolo Cheula mi chiese se potevo regalarglielo in caso di vittoria. La sera stessa avevo scritto alla mia ragazza per raccontargli che se avessi vinto mi avrebbero premiato con un maiale. Da quel momento è nata una sorta di gioco con i miei amici e compagni di squadra perché tutti volevano questo premio in caso di una mia vittoria. Fatalità ho vinto, però il maialino non c’è stato verso di portarlo a casa perché, siccome apparteneva ad una razza protetta, al termine della cerimonia di premiazione si è scelto di regalarglielo al primo corridore bretone che aveva tagliato la linea del traguardo. Le figlie di Gianni Savio sono animaliste e questa del maialino è stata la prima preoccupazione del mio team manager quando ha saputo del mio successo. Infatti, appena sono sceso dal podio, mi ha chiesto che fine avesse fatto il maiale e quando gli ho spiegato che me lo avevano portato via per darlo ad un corridore francese sia lui che le sue figlie si sono subito rasserenati»
Se la vittoria alla Tro-Bro Léon è stata la tua gioia più grande della stagione, il secondo posto a San Martino di Castrozza al Giro d’Italia è stata la tua delusione dell’anno
«Volevo ben figurare dato che correvo sulle strade di casa, lungo le quali mi alleno tutti i giorni. Nel finale della tappa, come tutti sanno, quando ero lì a giocarmi la vittoria, ho avuto due salti di catena e così mi sono dovuto accontentare del secondo posto. Purtroppo, è stato un piazzamento di gioia mista a dolore e mi dispiace di aver deluso i miei tifosi»
Tra l’altro quella giornata era iniziata male sin dal mattino in hotel
«La sfortuna mi ha perseguitato dalla mattina alla sera. La partenza della tappa era fissata nel primo pomeriggio e quindi si poteva dormire di più rispetto ad altre giornate. Alle 6.30 però i controllori dell’antidoping hanno bussato alla porta della mia camera per farmi le analisi del sangue. Poi, siccome non riuscivo più ad addormentarmi, ho preferito andare a fare colazione e mentre stavo mangiando mi si è rotto un dente. Subito dopo pochi km della tappa, ho parlato alla radio con l’ammiraglia ma nessuno mi rispondeva e solo in un secondo momento, nei pressi di Valdobbiadene, ho scoperto che la mia radiolina aveva un problema tecnico. Ai piedi del Passo San Boldo ho dovuto cambiare la bicicletta perché la batteria del cambio non funzionava più. Lungo l’ultima ascesa, quando ho risposto allo scatto di Chaves, mi sono ritrovato con lo stomaco appoggiato sul manubrio. In quel frangente sono stato fortunato a non sbilanciarmi troppo perché altrimenti sarei potuto finire a terra. Tuttavia, le mie speranze di vincere sono andate in fumo. Appena finita la corsa, dopo il controllo antidoping, ho incontrato il mio massaggiatore, il quale mi ha detto di andare all'hotel che si trovava ai meno 500 metri dalla conclusione. Arrivato in albergo, un membro dello staff mi ha consigliato di ritornare sul bus della squadra per fare la doccia perché la mia camera non era ancora pronta. Alla sera non ho mangiato nulla a causa di tutto quello che mi era accaduto nel corso della giornata. Dopo i massaggi sono andato subito a letto ma essendo molto nervoso non riuscivo a dormire. Di notte continuavo a ripensare alla tappa e il giorno dopo in corsa si è risentita tutta la fatica accumulata. Quella giornata è stata veramente pessima ma da ricordare per tutta la vita»
Cosa hai imparato in questi tre anni con l’Androni?
«Ho avuto dei grandi compagni di squadra che mi che hanno insegnato come gestirmi in corsa e li ringrazio per tutto quello che mi hanno trasmesso in queste stagioni. I direttori sportivi che ho conosciuto in questa formazione mi hanno fatto crescere a livello fisico seguendomi giorno per giorno: sarò per sempre grato a Giovanni Ellena per essermi stato accanto sin dall'esordio con la maglia dell’Androni ed è anche merito suo se sono riuscito ad arrivare a firmare un contratto con una squadra World Tour»
Nel 2016, mentre ti stavi allenando, sei stato investito da una macchina. In un periodo in cui si parla molto di sicurezza, che messaggio vorresti mandare?
«Adesso mi ritengo di essere stato fortunato perché quel giorno sarei potuto finire all'altro mondo. Allenandomi sulle strade tutti i giorni vedo che i pericoli sono sempre maggiori a causa degli automobilisti che sono nervosi e molti di essi guidano con il telefono in mano. Bisogna avere mille occhi per controllare ogni angolo della strada. Si parla tanto di sicurezza ma finora non si è ancora attuato nulla per tutelare noi corridori e questa cosa mi infastidisce molto perché non è il primo anno che si parla di questo problema. Sono dispiaciuto di questa situazione, perché gli altri stati sono dieci volte più avanti del nostro ed in cuor mio spero che un giorno anche in Italia si arrivi, non solo a parlare di sicurezza, ma anche a prendere provvedimenti per cambiare il sistema».