Siamo la squadra più bella del mondo!
Dopo due giorni di sofferenza, al terzo l'Italia si rialza: Ganna iridato (e tre!) nell'Inseguimento, Paternoster meravigliosa nell'Omnium, Plebani sorpresa di bronzo, bravi Lamon e Bertazzo. E non finisce qui
Siamo tutti dei grandi inseguitori e ciclismo su pista. La frase, apparentemente insensata, è una citazione dedicata al grande Giampiero Galeazzi (che si espresse in tale maniera raffazzonata parlando di sciatori e sport invernali, ma il senso era quello), e significa che oggi più che mai ci sentiamo parte di un tutto, oggi più che mai quel tutto è rappresentato dalla nazionale italiana del ciclismo su pista impegnata ai Mondiali di Pruszkow, e oggi più che mai ci piace essere vicini a un gruppo vincente, capace di reagire alle avversità e di rialzare la testa alla prima occasione utile.
I risultati giunti dalla Polonia ci fanno sorridere, ci fanno dimenticare la iattura di non avere a disposizione un velodromo coperto, attualmente, ci fanno dimenticare la rottura cubica di dover vedere sempre Di Rocco che premia giulivo, e ci riconciliano col ciclismo migliore, che spesso fa rima con ciclismo minore, perché la pista è a tutti gli effetti un ciclismo minore, rispetto a Sorella Strada. Però andatelo a dire a Filippo Ganna che vince il terzo Mondiale nell'Inseguimento in quattro anni (eguagliando tra gli altri un Guido Messina o un Bradley Wiggins), che quello è ciclismo "minore"; andatelo a dire a un'esausta Letizia Paternoster, al termine dello spossante, esaltante Omnium, che quelle sue fatiche sono "minori". Andatelo a dire alla voglia di riscatto di Francesco Lamon e di Liam Bertazzo, che siamo nel campo delle "minorità"; andatelo a dire all'esplosione di vita e di gioia di Davide Plebani, che quella medaglia è "minore". E andatelo a dire a Marco Villa e a Edoardo Salvoldi, che tutto il loro lavoro, volto a costruire una squadra che sempre più sembra un'armata dei sogni, sarebbe "minore". Ma minore di che? Il progetto è grande, e tale resta nonostante le avversità. Nonostante il tetto che si sfalda a Montichiari, nonostante le cadute del mercoledì di Pruszkow, nonostante l'insipienza di certi dirigenti e l'egoismo di certi team manager. Il progetto è grande e il percorso è tracciato, e questa fermata polacca, tanto bella e colorata, sarà ricordata come una delle tappe di un viaggio entusiasmante. E la cosa più bella, al fondo di tutto, sapete qual è? Che questo viaggio continuerà ancora a lungo.
Ganna e Plebani all'Inseguimento della pietra... filosofale
Dopo il disastro nella prova a squadre, era chiaro che l'Inseguimento individuale rappresentava, più delle altre gare, il momento del riscatto nazionale (per quel poco che possa significare l'aggettivo "nazionale" per una nicchia come il ciclismo su pista in Italia). Che fosse prova sentita, e destinata a regalarci sorrisi a 32 denti, l'abbiamo capito da subito, perché appena cominciate le qualificazioni Davide Plebani, che partiva tra i primi, ha immediatamente messo in campo un'impresona: non solo volare al comando della classifica provvisoria, ma farlo anche abbattendo il record nazionale che era detenuto da Filippo Ganna: un 4'11"764 che, al di là del suo valore, chiamava alla reazione lo stesso Filippo, in gara di lì a poco.
Nel frattempo il tedesco Domenic Weinstein, Campione Europeo in carica, ha fatto meglio di Plebani con 4'09"091, ma poi proprio Ganna ha messo un grandioso punto esclamativo sulle qualifiche: impegnato in batteria insieme ad Ashton Lambie, l'americano che detiene il record del mondo (4'07"251, stabilito in altura), il piemontese è stato divino e ha terminato la sua prova con un sensazionale 4'07"456, miglior prestazione all-time a livello del mare.
Lambie ha deluso un po' (quinto alla fine), e nei quattro s'è inserito il russo Alexander Evtushenko con 4'11"957. Costui avrebbe conteso a Plebani il bronzo, mentre per l'oro la lotta sarebbe stata tra Ganna e Weinstein.
In serata, le due finali: in quella per il terzo posto Plebani è stato bravissimo a usare il misurino. Ha gestito da campione le energie, ha guidato sin dal primo giro con un paio di decimi di margine, poi nell'ultimo chilometro ha via via aumentato il distacco sull'avversario, fino a chiudere con oltre 2" di vantaggio, 4'14"572 contro 4'16"784.
Da che mondo è mondo, nell'Inseguimento le prestazioni migliori vengono in qualifica, perché poi in finale l'atleta arriva un po' provato dal turno precedente. Non si è fatta eccezione oggi, anche se Ganna è andato davvero vicino a ripetersi. La sua finale, signori, spettacolo puro. In passato Filippo ci ha abituati a partenze abbastanza caute, premessa per grandi finali; oggi non ha conosciuto mezzi termini. Sin dal via è andato a tutta, fortissimo, e il povero Weinstein davvero non ci ha capito niente.
Alla fine della gara, nella quale di fatto non è mai stato, il tedesco ha visto un'ombra alle sue spalle, e non è andato lontano dall'essere ripreso dallo sputafuoco azzurro: essere raggiunto in finale sarebbe stato uno smacco davvero troppo esagerato per Weinstein, che per sua fortuna s'è salvato.
L'incontenibile Ganna ha chiuso con 4'07"992, l'altro in 4'12"571, e la festa per il ct Marco Villa e il suo staff è potuta cominciare: due italiani sul podio di una gara individuale al Mondiale, roba che non si vedeva da 30 anni, e che ci spalanca le porte di un futuro ancora tutto da gustare.
Lamon dimonio con gli occhi di bragia!
Lo stesso percorso - ottime qualificazioni, risultato confermato in finale - l'ha fatto Francesco Lamon nel Chilometro. Purtroppo per lui, la sua rincorsa s'è fermata ai piedi del podio, quarto nelle eliminatorie e quarto nella gara decisiva, però resta una piccola impresa perché il ragazzo non parte certo chilometrista (a differenza dei tre che l'hanno preceduto), e anche perché il tempo fatto segnare (1'00"550, in qualifica) l'ha portato a sfiorare il primato italiano di Francesco Ceci (1'00"362, anche quello realizzato in altura).
Meglio di Lamon hanno fatto due francesi, Quentin Lafargue e Michael D'Almeida, inframezzati dall'olandese Theo Bos, vecchia pellaccia. I transalpini si son piazzati primo e terzo, 1'00"029 il tempo del vincitore Lafargue, che però in qualifica era riuscito (unico tra tutti) a scendere sotto il minuto, volando a 59"845. Il gradino più basso del podio è rimasto distante appena 13 centesimi da Lamon (132 millesimi per la precisione), ma auguriamo al ragazzo di non rammaricarsi troppo. Molto più importante è stato il livello della sua reazione, dopo la sciagurata scivolata che l'altro giorno ha privato il quartetto dell'Inseguimento a squadre di un possibile podio. E visti i risultati odierni, possiamo pure togliere l'aggettivo "possibile".
Bertazzo corre a punti e prende appunti
Un altro dei reduci del quartetto maledetto, Liam Bertazzo, si è speso invece oggi nella Corsa a punti, e pure lui ha fatto la sua brava figura, riuscendo a dire la sua in una gara assurdamente combattuta sin dal primo dei 160 giri previsti. Protagonista assoluto della prova, quel marcantonio di Jan-Willem Van Schip, uno che anche su strada scrive a volte pagine memorabili, e che stasera a Pruszkow ha raggiunto l'apice della carriera, con una medaglia scintillante ottenuta per distacco alla maniera di un Cameron Meyer (per restare a un dominatore recente della specialità).
JWVS è stato quasi imbarazzante nella sua spettacolare superiorità. Ha conquistato tre volte il giro (l'ultima a 3 tornate dalla fine della gara!), ed è andato a punti in 11 sprint su 16, vincendone peraltro 6 (4 dei primi 5, tanto per far capire da subito a tutti di che morte sarebbero dovuti morire).
A Van Schip ha provato a opporsi lo spagnolo Sebastián Mora, bravo a guadagnare presto un giro, e poi a ripetersi altre due volte, proprio come l'olandese, ma senza avere lo stesso rendimento nelle volate. E il distacco tra primo e secondo dice tutto della gara: 104 punti per Jan-Willem, 76 per Sebastián. Al terzo posto si è piazzato l'irlandese Mark Downey, 67 come il polacco Wojciech Pszczolarski, ma un miglior piazzamento nella volata conclusiva (quinto contro dodicesimo); e al quinto posto troviamo infine il nostro Liam, che è stato più presente nelle cacce (due sono state fruttuose) che negli sprint, e per il quale comunque la somma tra giri guadagnati e volate condotte a punteggio ha portato a 61 punti, 6 di distanza dal podio. Non male per un corridore che poche settimane fa era vittima di un incidente non secondario al Giro di Colombia (con tanto di 3 denti persi), e che è riuscito a stringere... le gengive per arrivare in condizioni comunque buone all'appuntamento iridato.
Letizia, il più grande spettacolo dopo il big bang
E la rassegna azzurra non può che terminare in bellezza con Letizia, nomen omen, grande gioia per gli appassionati italiani che in lei vedono una ciclista dal temperamento spaventoso e in grado di finalizzare al meglio ogni occasione che le si presenti. Un'altra al posto suo, a 19 anni, avrebbe forse tremato un po' nello scorrere i nomi che componevano la startlist dell'Omnium. E fortuna che l'annunciata Laura Trott ha ceduto il posto alla connazionale Katie Archibald (sempre fortissima, ma un filo meno rispetto alla treccia olimpionica), perché per il resto c'erano davvero tutte le atlete che sceglieresti per un all-star-game della specialità.
Beh, di fronte a un parterre del genere (elencheremo via via i nomi) che ti fa la nostra piccola Paternoster? Vince subito la prima delle quattro prove, lo Scratch, poi si porta la mano alla bocca, unghie smaltate di scuro a coprire un'espressione del viso stupita e contenta al contempo, della serie "oddio, sono stata io a fare questo?", seguito da un "ma allora son forte davvero!". E sì che sei forte, Lety!
Alle proprie spalle, in una volata imperiosa e condotta con autorità più ancor che autorevolezza, la trentina s'è lasciata nientemeno che una maestà che risponde al nome di Kirsten Wild (campionessa mondiale uscente, tra le altre cose, nonché europea in carica), relegata addirittura in quarta posizione: l'olandese aveva preso la scia dell'azzurra, ma non le è proprio riuscito di uscirne e scavalcare l'avversaria. In mezzo, tra le due, seconda s'è piazzata Annette Edmondson (australiana, iridata Omnium 2015), terza la statunitense Jennifer Valente (vincitrice della Coppa del Mondo l'anno scorso). Più indietro altri nomi blasonati. E molto male, solo 11esima, proprio quella Archibald (iridata nel 2017, due volte campionessa europea) che non avrebbe dovuto far rimpiangere la Trott. (Li state adocchiando i palmarès tra parentesi?).
Seconda prova, la Tempo Race. Qui Paternoster si è limitata a un paio di sprint vinti, che l'hanno proiettata non più su (ma nemmen più giù) della settima posizione. La gara l'ha vinta la giapponese Yumi Kajihara (più volte protagonista in CDM), guadagnando un giro come la neozelandese Rushlee Buchanan, la bielorussa Ina Savenka e la danese Amalie Dideriksen, e precedendole in quest'ordine grazie agli sprint vinti. Al giro di boa dell'Omnium, Kajihara prima con 70 punti, Paternoster seconda con 68, Wild terza con 64, e poi Edmondson, la canadese Alison Beveridge, Dideriksen, Buchanan, Valente e via andare.
L'Eliminazione è stata la gara più ricca di palpitazioni, sia perché è la prova in sé ad essere un concentrato di pathos come poche altre, sia perché da metà gara in poi l'azzurra ha preferito stazionare nelle retrovie, ritrovandosi a dover sprintare spesso sul filo del rasoio, riuscendo però a concludere brillantemente l'impegno fino a un terzo posto conclusivo che l'ha riproiettata al comando della classifica. Questa prova è stata conquistata dalla Valente davanti alla Wild e appunto a Letizia, e si sono segnalati diversi gravi passaggi a vuoto, ovvero eliminazioni precoci (e conseguentemente ben pochi punti guadagnati) per alcune delle tante possibili favorite: Archibald nona, Edmondson 14esima, Beveridge 15esima, Buchanan 18esima...
Due punti avanti, due punti indietro, ma che importa?
Si è così giunti al gran finale della Corsa a punti con Letizia incredibilmente (o quasi) al comando con 104 punti, due in più della Wild; terza era la Kajihara a 98, quarta la Valente a 92, quinta la Dideriksen a 90, più lontane le altre. Avevamo ancora negli occhi i fuochi d'artificio della Corsa a punti maschile, e invece questa è stata abbastanza più controllata, meno attacchi per conquistare il giro, più sprint col coltello tra i denti. Uno svolgimento tattico che non dispiaceva certo a Paternoster, sempre molto presente nelle volate; va comunque detto che la trentina è stata anche un ottimo cane da guardia, dato che ha più volte azzannato sul nascere dei tentativi che sarebbero potuti risultare pericolosi.
Solo la Edmondson - che certo godeva di maggior libertà, partendo da una posizione più remota in classifica - è riuscita a metà corsa a guadagnare quel sospirato giro, e con esso i 20 punti che l'hanno riproiettata in area medaglie. Ma il pallino del gioco restava in mano a chi sprintava. Letizia è andata a punti in 4 volate su 8, vincendone una (la quinta... sempre su Wild) e totalizzando 11 punti; la Kirsten è stata più ficcante, ha portato a casa cinque sprint fruttuosi che le hanno permesso di alzare 15 punti. Il sorpasso è tutto qui, e la somma algebrica porta l'olandese a primeggiare con due punti sull'italiana: 117-115 alla fine, ma nemmeno un minuto di non soddisfazione per Letizia e il suo staff, perché questo argento va certo goduto oggi, ma anche messo nella prospettiva della carriera di una ciclista che al momento è ancora teenager.
Il terzo gradino del podio è stato deciso dal tardivo tentativo di Valente di conquistare il giro (in coppia con Dideriksen): la statunitense non è riuscita nell'intento primario (che le avrebbe addirittura permesso di vincere l'Omnium), ma si è consolata con quello secondario, ovvero prendersi 6 punti al traguardo e raggiungere così il totale (106) della Kajihara, scavalcando l'avversaria per il miglior piazzamento all'ultima volata (seconda contro settima); se vogliamo, anche una medaglia meritata per l'americana, che nel corso della gara era pure pesantemente caduta insieme a Katie Archibald (per fortuna solo ammaccature e qualche strappo sui body per le due). Quinto posto finale per Edmondson a 101, sesto per Dideriksen a 100, settimo per Archibald a 84.
A tutta Velocità verso un'altra giornata campale
Resta da dire della Velocità femminile, torneo che ha vissuto semifinali e finali. Tutte e quattro le sfide si sono chiuse abbastanza nettamente per 2-0, in semi l'australiana Stephanie Morton si è sbarazzata della tedesca Lea Sophie Friedrich, mentre l'hongkonghese Wai Sze Lee ha battuto la francese Mathilde Gros. La transalpina ha poi conquistato il bronzo superando Friedrich nella finalina, mentre l'asiatica ha avuto buon gioco contro una Morton che le ha provate tutte in finale: prima manche disputata testa a testa, seconda tentata sull'anticipo, ma in entrambi i casi l'esito è stato favorevole a Wai.
Dopo tre giornate di gare il medagliere dice che l'Olanda guida con 4 ori e 3 argenti, seguita da Australia (4 ori e 1 argento), Gran Bretagna (1 oro, 2 argenti), Francia (1 oro, 1 argento, 2 bronzi) e Italia (1-1-1).
Il programma di domani è ricco non meno di quello di oggi, vediamo un po' il dettaglio: tra le donne 500 metri (Miriam Vece in gara per l'Italia) alle ore 12 per le qualifiche e alle 17 per la finale; Inseguimento individuale (14.17 e 19.07) con Simona Frapporti e Silvia Valsecchi che proveranno ad avvicinare il podio; Madison alle 17.38 con Letizia Paternoster che, a meno di cambi dell'ultim'ora, dovrebbe tornare in pista a far collaudata coppia con Maria Giulia Confalonieri, con il chiaro obiettivo di un'altra medaglia da mettere al collo; ma la concorrenza sarà ancora una volta spietata.
Tra gli uomini si dispiegherà lungo l'arco dell'intera giornata il torneo della Velocità individuale (che però andrà a compimento domenica), e lungo tutto il dì avremo anche modo di seguire l'Omnium, un po' meno ricco di talento rispetto a quello femminile, ma sempre competitivo in maniera esasperata. L'Italia schiera Simone Consonni, reduce da diversi buoni risultati su strada, e chiamato a confermare anche su pista i miglioramenti esibiti in questi ultimi mesi. Che la Forza sia con lui!