Benedetti siano i fuggitivi!
Cesare Benedetti, sempre protagonista in fuga, è uscito dalla prima tappa vestito dell'azzurro di migliore scalatore
Fuggire, tutto sommato, è arte. Scegliere il momento ideale, buttare giù un dente più duro ed evadere. Scappare via lontano senza pensare a ciò che accade alle proprie spalle. Senza pensare ossessivamente ad una meta distante decine e decine di chilometri. Per cominciare un Giro d'Italia scappando via dalla monotonia (perlomeno quella che precede gli ultimi venti chilometri di frazione) del gruppo occorre essere un po' artisti. E un po' pazzoidi.
Cesare Benedetti è uno dei più devoti e umili servitori della Santa Fatica. Quella che ti costringe a scrivere paginate quotidiane con l'unica lingua conosciuta in quel tipo di vocabolario: sudore e palpitazioni sempre al massimo. Probabilmente in altri tempi l'avremmo annoverato in quella mitica categoria che va sotto il nome di "forzati della strada". Quella nella quale occorre spendere ogni residua energia per se stessi e per la strada mentre nell'intorno, tra paesaggi incantevoli (siamo pur sempre partiti dalla Costa Smeralda), c'è chi magari non pensa neppure troppo alla corsa e si gode i primi vagiti d'estate. Ne ha spesi di chilometri in avanscoperta il buon Cesare, nome da kaiser e cuore da mediano, d'indole un po' come Oriali che ha vestito i colori di una maglia nerazzurra a lui cara, quasi sempre anteponendo la ragion di squadra all'amor proprio, inteso come ambizione di successo.
Ammirevole, anche troppo se è vero che non più tardi di due stagioni fa tutto questo sembrava non essere sufficiente per meritarsi una conferma nel professionismo, quasi pronto ad ingoiare il boccone amaro di chi troppo si spende per gli altri e alla fine, qualche volta, nemmeno un "grazie" si vede rispondere. Poi quel Giro di Lombardia, con una splendida prestazione facendo su e giù tra salite intrise di leggenda (Muro di Sormano compreso) ed ecco che la storia prende una piega diversa. Uno così a spasso non può rimanerci, troppo importante nell'economia di un team che ha voglia di crescere e attestarsi ai vertici del ciclismo mondiale. Fughe sì ma tanto lavoro sporco da svolgere all'occorrenza per chi ne ha bisogno.
Cosicché, quando nella facoltosa compagine tedesca approdata nel World Tour è arrivato quel gran fuoriclasse e personaggione che risponde al nome di Peter Sagan, lui ha finito per diventarne uno degli angeli custodi a salvaguardia di quel potenziale d'autentico demonio (in senso buono ovviamente) che occorre sprigionare nei momenti topici. E via, a scarrozzare il buon Peter per le insidiose strade della Tirreno-Adriatico, prima di provare a lanciarlo verso quel successo sfumato di pochissimo alla Milano-Sanremo.
Una fuga per iniziare il Giro col piede giusto
Al Giro numero 100 la Bora-Hansgrohe si presenta come una scheggia impazzita. Nessun uomo di classifica ma tanti validi mestieranti, guastatori, buoni velocisti. Due chilometri dopo Alghero è però già tempo di fuggire verso un sogno colorato di rosa e Cesare, neanche a dirlo, ci si butta dentro. Difficile pensare di coronare 200 e passa chilometri di fatica con un'azione leggendaria ma intanto ci si prova, si è qui per questo. La compagnia è variegata ed anche esotica: ci sono i figli del vento dell'Est, con quel Pavel Brutt vecchio volpone a tenere alta la bandiera di una Gazprom vogliosa di onorare ancora una volta al meglio il Giro, e con Marcin Bialoblocki, passistone polacco di quella CCC tutta da scoprire strada facendo.
C'è poi Daniel Teklehaymanot, eritreo dall'indole avventuriera e che sugli strappetti sembra andarci a nozze, visto che un paio d'anni fa gli è toccato pure l'onore di essere il primo atleta di colore a vestire la maglia a pois di migliore scalatore al Tour de France. Quindi Eugert Zhupa, campione albanese ma praticamente di casa da sempre nella bassa padana, uno che ha imparato presto a familiarizzare con vento in faccia e trenate da paura, aprendo anche la strada a fior di promettenti velocisti in questi anni. Poi c'è Mirco Maestri, che con Zhupa condivide la residenza nella provincia reggiana: alla Tirreno-Adriatico era in fuga un giorno sì e l'altro pure, sfiorando addirittura la maglia della classifica a punti che solo l'inesorabile Sagan gli portò via. Lui si che avrebbe un buon motivo per evadere dal gruppo e azzerare i pensieri, dopo le ultime fosche ore trascorse nell'entourage Bardiani. Non poteva mancare il suo nome ma strada facendo finirà per abdicare, rientrando nei ranghi e dando appuntamento a giornate migliori.
Due chilometri per lanciarsi nella prima pazza avventura di questo Giro, solamente 5 per dividere gli avventurieri dal sogno di un qualcosa destinato a restare per sempre nella memoria. Nel mezzo strappetti e mangia e bevi, curve e costeggiate, pubblico in festa e attimi di affascinante bellezza solitaria. Nel mezzo tre salite, caratterizzate tutte dal medesimo esito: Cesare Benedetti che parte a bomba e fagocita metri di strada a chiunque provi a sprintare. Soccombe prima il buon Zhupa a Multeddu (e dire che non c'era alcun divieto di sosta), poi per due volte l'indomito "Tekle", lanciatosi verso Trinità d'Agultu e trovatosi a vivere un personale "mezzogiorno di fuoco". Stessa scena a San Pantaleo, dove intanto anche Bialoblocki aveva salutato e ringraziato della compagnia.
Olbia sempre più vicina, il gruppo anche. Il plotone pare giocare come al solito. Fossero arrivate prima quelle curve insidiose, quei lievi dislivelli per prendere velocità chissà che avremmo raccontato. Restano gli applausi, colmi di riconoscenza verso un primo giorno intriso di fatica e di calore. Per gli altri resterà una sfacchinata, per Cesare un giorno di gloria: la prima maglia azzurra di migliore scalatore è sua e mentre i suoi compagni si preparano a lanciare Bennett procede tranquillo verso il traguardo. Non immagina che a farla sotto il naso di tutti gli sprinter sarà proprio il carneade (per i più che vivono il Giro come festa popolare innanzitutto) Lukas Pöstlberger, primo austriaco a vestirsi di rosa. Per lui, trentino ma con quell'Austria ad un tiro di schioppo tanto da sentircisi un po' legati, una gioia doppia ed un sorriso sincero. In fondo ognuno fa il kaiser a modo suo.