La legge degli ex: tutti i ritiri dal professionismo
Da Cavendish a Uran, tanti addii eccellenti
«La bici appesa al chiodo»: una locuzione oziosa e abusata che, oltretutto, potrebbe seriamente fare a pugni con le leggi della fisica. Fatto sta che, come ogni anno, un buon numero di corridori ha deciso di lasciare il professionismo. Ritiri e addii più o meno annunciati in questa sintetica ma esaustiva rassegna.
La lista degli ex
La volata di Saint Vulbas gli ha consegnato il primato assoluto di vittorie al Tour de France: Mark Cavendish ha salutato il gruppo da vero campione. E dire che il velocista dell'isola di Man aveva deciso di fare un passo indietro già alla fine del 2020, in fondo a un paio di stagioni piuttosto modeste. E invece, il richiamo del Wolfpack ha rigenerato l'iridato di Copenhagen 2011: 4 successi alla Grande Boucle del 2021 per appaiare Eddy Merckx a quota 34. Tre anni (e una caduta) dopo, l'agognato sorpasso al Cannibale, condiviso con l'apripista Michael Mørkøv, anch'egli al passo d'addio dopo una gloriosa carriera su strada e su pista, impreziosita dall'oro olimpico nella madison a Tokyo 2020.
Un'anima guascona, così inusuale per un corridore sudamericano: il tratto distintivo del colombiano Rigoberto Uran, che ha concluso la sua carriera in massima serie dopo quasi un ventennio. Pur non avendo centrato la vittoria da copertina, Rigo è stato un brillante regolarista: 4 successi di tappa nei GT, due podi consecutivi al Giro d'Italia e una manciata di classiche (il Gran Piemonte, la Milano-Torino e il Gran Premio del Quebéc) in bacheca.
Gli ottimi risultati di inizio carriera - due top ten alla Vuelta di Spagna e il 4° posto al Tour 2010 - avevano suscitato grandi aspettative sul conto di Robert Gesink. Tuttavia, il longilineo corridore olandese è stato spesso bersaglio della sfortuna: incidenti, cadute e un'aritmia cardiaca ne hanno fatalmente stroncato le ambizioni. Tutto questo, però, non gli ha impedito di essere un affidabilissimo uomo-squadra. Dalla Rabobank alla Visma, Gesink non ha mai cambiato casa in 18 stagioni tra i pro'. In altre parole, una bandiera.
Pozzovivo, icona di longevità. De Gendt, una vita in fuga
Il primo sinonimo di longevità sul vocabolario: Domenico Pozzovivo, anni 42, ha attraversato due decenni di professionismo con immutata dedizione. Da Reverberi (Bruno) a Reverberi (Roberto), lo scalatore materano ha trovato la sua dimensione nelle gare a tappe, in cui ha ottenuto tutti i successi della sua carriera (13 in totale). Il punto più alto? La splendida vittoria nella tappa di Lago Laceno al Giro del 2012.
A proposito di corridori italiani: il 2024 è stato il capolinea per una manciata di rifinitori vecchio stampo. Se Jacopo Guarnieri è sempre stato al servizio dei velocisti - in testa Arnaud Démare e Alexander Kristoff - Cesare Benedetti e Dario Cataldo hanno spesso trainato il gruppo prima che entrassero in azione in big. Ciò non ha impedito loro di regalarsi qualche scampolo di gloria: il trentino di passaporto polacco ha vissuto il giorno più bello della sua vita sportiva nella tappa di Pinerolo del Giro 2019, precedendo di qualche giorno il blitz dell'abruzzese a Como. Non l'unico acuto della carriera di Cataldo, che si tolse la soddisfazione di battere Thomas De Gendt sul traguardo in quota di Cuitu Negru alla Vuelta 2012. Tra i nostri connazionali, infine, si è congedato anche il velocista ligure Niccolò Bonifazio, un decennio speso tra World Tour e Professional con una ventina di successi, il più prestigioso della serie alla Parigi-Nizza 2020.
Thomas De Gendt, attaccante per definizione. Il 37enne belga è stato indubbiamente uno dei personaggi più rappresentativi degli ultimi anni, anzitutto per la sua innata capacità di pescare sempre le fughe giuste, alle volte in odore di impresa. Come alla Parigi-Nizza del 2012, quando vinse la penultima tappa con più di 6' di margine sull'estone Rein Taaramäe e oltre 9' sul gruppo dei battuti. Per non parlare del successivo colpaccio al Giro d'Italia: un altro attacco da lontano per conquistare la cima dello Stelvio e addirittura il gradino più basso del podio alle spalle di Ryder Hesjedal e Joaquim Rodriguez. Nato per evadere dal gruppo, De Gendt ha aggiunto altre perle alla sua nobilissima collezione: due tappe al Tour - la prima nel 2016, quando conquistò il Ventoux dimezzato… per il vento - altri due traguardi di giornata alla Vuelta (dove ha vinto anche la classifica degli scalatori) e la pazza tappa di Napoli nell'edizione 2022 della corsa rosa. 17 vittorie, tutte nelle corse a tappe: molti firmerebbero per avere questi numeri a fine carriera.
La barba folta come marchio di fabbrica, il tedesco Simon Geschke ha durato tanta fatica in testa al gruppo. Ne hanno beneficiato in tanti, a cominciare da Tom Dumoulin, di cui è stato fedelissimo pretoriano. Il 38enne berlinese saluta il professionismo con 3 successi, su tutti la tappa di Pra Loup al Tour 2015.
Boasson Hagen, una promessa mantenuta a metà
Più di 80 successi in massima serie: un bottino eclatante, ci mancherebbe altro. Eppure, la sensazione è che il norvegese Edvald Boasson Hagen potesse fare molto, molto di più. Sbarcato tra i grandi a soli vent'anni, lo scandinavo si era rivelato al grande pubblico nel 2009 con il successo alla Gand-Wevelgem, cui aggiunse le vittorie parziali al Giro d'Italia, al Giro di Polonia e all'Eneco Tour, dove conquistò anche la classifica generale. Il primo capitolo di una carriera davvero promettente, nobilitata da due successi al Tour de France 2011 e dai successi trionfi ad Amburgo (anch'esso datato 2011) e Plouay (2012). A questo punto, non restava che aggiungere alla sua bacheca una classica monumento. Che, invece, non è mai arrivata, sebbene ci sia andato molto vicino alla Roubaix 2016, chiusa al 5° posto. Forse il vero punto di svolta della sua storia ciclistica, scivolata gradualmente nella mediocrità - che riuscì a interrompere soltanto alla Grande Boucle del 2017 - fino al triste grigiore delle ultime stagioni.
Da un campione incompiuto a una promessa mai sbocciata: Kevin Ledanois sbancò il Mondiale Under-23 di Richmond 2015, castigando Simone Consonni. Tra i professionisti, però, il corridore parigino non è mai riuscito a replicare l'exploit americano. E così, dopo 9 stagioni senza squilli, Ledanois ha salutato la compagnia. Altrettanto precoce anche l'uscita di scena dello statunitense Lawson Craddock: il due volte campione nazionale a cronometro è andato in pensione all'età di 32 anni.
Lilian Calmejane ha invece ballato per una sola, splendida stagione: il 2017 è stato infatti l'anno dorato dell'albigese, che conquistò una tappa e la classifica finale del Circuit de la Sarthe, della Settimana Coppi e Bartali e dell'Etoile de Bessèges per poi aggiudicarsi la frazione di Station des Rousses al Tour. Le premesse per una carriera da cacciatore di traguardi, iniziata l'anno prima alla Vuelta. Tuttavia, Calmejane non è più tornato su quei livelli, se non sulle strade francesi. Con grande onestà, ha ammesso di non provare più piacere in sella a una bicicletta e, di conseguenza, ha deciso di smettere a soli 31 anni. All'elenco degli ex si sono aggiunti altri due d'Oltralpe: il 39enne Julien Simon (13 centri tra i professionisti, compresi un GP di Vallonia e una tappa al Catalunya) e il 35enne Alexis Vuillermoz: di lui si ricorda soprattutto il blitz sul Mûr-de-bretagne al Tour del 2015.
Nessuno dei due ha mai avuto il vizio della vittoria. Eppure, gli spagnoli Gorka Izagirre e Luis Ángel Maté - 37 anni il basco, 40 l'andaluso - hanno respirato a pieni polmoni l'aria del ciclismo che conta prima di dire basta. Più nobile il palmarès del primo, che si è tolto le più belle soddisfazioni della carriera alle nostre latitudini: una vittoria di tappa al Giro d'Italia 2017 e il Gran Trittico Lombardo 2020.
Gli altri ritiri
Non mancano gli addii tra i gregari: a fine corsa il 35enne svizzero Sebastién Reichenbach - vincitore di un Trofeo Matteotti prima di diventare un fedele pretoriano di Thibaut Pinot - il coetaneo statunitense Joey Rosskopf, il 34enne britannico Luke Rowe (che, dopo una vita spesa tra Sky e INEOS Grenadiers, salirà sull'ammiraglia della Decathlon AG2R La Mondiale), il 35enne tedesco Rüdiger Selig e il coscritto olandese Ramon Sinkeldam. Una menzione, infine, per il 37enne figlio e fratello d'arte Boy Van Poppel e per il 38enne Ignatas Konovalovas: il lituano raggiunse il suo zenit al Giro del 2009, quando vinse la crono finale di Roma, ricordata per lo scivolone in maglia rosa di Denis Menchov. Ah, come passa il tempo…