Il lungo addio del perenne fuggitivo
Thomas De Gendt lascerà il ciclismo pedalato alla fine della prossima stagione. Ritratto di un corridore che con le sue imprese impossibili ha saputo ritagliarsi uno spazietto nella storia di questo sport
Il 2024 sarà l'ultima stagione di Thomas De Gendt, un corridore che più d'ogni altro, in questo inizio del terzo millennio, ha incarnato e tenuto vivi i valori del ciclismo eroico. Il fiammingo, nella sua carriera, ha conquistato 22 vittorie tra cui due tappe sia al Giro d'Italia che al Tour de France cui si aggiunge anche una alla Vuelta España. Il ritiro d'un corridore, discreto ma non eccelso, non dovrebbe attrarre tanta attenzione. Eppure per il barbuto 37enne di Sint-Niklaas non sarà così per la sua unicità nel modo d'interpretare le corse.
Nel ciclismo odierno, dominato da watt e frequenzimetri, l'arte dell'attacco da lontano è ormai quasi estinta. Sotto questo profilo, De Gendt, è stato l'erede di Jacky Durand, il francese che nel 1992 conquistò il Giro delle Fiandre partendo a 200 chilometri dall'arrivo. Il transalpino, a cavallo dei due millenni, fu l'unico cultore di questo modo di correre, coraggioso al limite dell'incoscienza, andando quasi sempre allo sbaraglio ma anche vivendo giorni di gloria posto che, oltre alla Ronde, seppe conquistare una Parigi-Tours e due titoli di campione nazionale. Il ritiro del corridore di Laval, al termine della stagione 2004, lasciò un buco nello scenario internazionale.
A colmare questa voragine, otto anni dopo, arrivò Thomas De Gendt che non impiegò molto tempo a farsi notare. La penultima tappa della Parigi-Nizza 2012 portava i corridori da Sisteron a Nizza attraverso 220 chilometri. Partito in coppia con l'estone Rein Taaramäe subito dopo il via, quel giorno il fiammingo, rimasto solo a 50 chilometri dal traguardo, inflisse sette minuti all'ex compagno di fuga e quasi dieci al gruppo. Fu la prova generale dell'impresa per la quale verrà ricordato in eterno.
La ventesima frazione del Giro d'Italia, l'ultima in linea, si svolse sabato 26 maggio lungo i 219 chilometri che da Caldes in Val di Sole portavano in vetta al Passo dello Stelvio, la Cima Coppi per antonomasia. Quel giorno Thomas andò vicino a ribaltare la corsa rosa. Partito con 5'40” di distacco in classifica generale da Joaquim Rodríguez, a 4.000 metri dal traguardo si trovò a cinque secondi dalla conquista del simbolo del primato. La reazione finale degli uomini di classifica gli impedì di aggiungere la maglia rosa alla sua straordinaria vittoria in solitaria. Non di meno, il giorno dopo, grazie a una buona prova contro il tempo lungo le strade di Milano, scalzò Michele Scarponi dal podio finale.
Divenuto ormai icona d'un modo di correre esclusivamente suo, De Gendt, anno dopo anno, non ha mai deluso i suoi molti sostenitori, regalando almeno una volta a stagione, se non addirittura due, una di quelle giornate in cui nessuno in gruppo poteva tenergli testa. Chi lo ha seguito non dimenticherà mai imprese che vanno contro ogni logica a cominciare da quella compiuta nell'ottava frazione del Tour de France 2019, che arrivava a Saint-Etienne, quando pur essendo stato in fuga fin dalla partenza, seppe rintuzzare negli ultimi chilometri il rientro della coppia principe transalpina formata da Julian Alaphilippe e Thibaut Pinot.
Nuovamente in Italia, a 10 anni di distanza dall'impresa sullo Stelvio, Thomas ha saputo rinfrescare la memoria degli appassionati compiendo un autentico capolavoro sabato 14 maggio nella tappa tutta partenopea che prevedeva un impegnativo circuito sul Monte di Procida, da ripetersi cinque volte. Era quella una frazione che Mathieu van der Poel aveva cerchiato come obiettivo da conquistare nella sua prima campagna d'Italia. Purtroppo per l'attuale maglia iridata, era uno di quei giorni in cui De Gendt era particolarmente ispirato.
Quel giorno, i due se le diedero di santa ragione dal primo all'ultimo dei 153 chilometri previsti. De Gendt, approfittando del fatto di godere di maggior libertà del nipote di Raymond Poulidor, riuscì, a 45 chilometri al traguardo, a evadere dal folto gruppo dei battistrada portandosi appresso il compagno Vanhoucke, lo spagnolo Arcas e i giovani italiani Gabburo e Ravanelli.
Tirando in prima persona, più dei quattro compagni di fuga messi insieme, il corridore di Sint-Niklaas permise al quintetto d'arrivare su Lungomare Caracciolo, dov'era posto lo striscione del traguardo, conservando una decina di secondi di margine sugli inseguitori, organizzati tardivamente dall'olandese. De Gendt aveva risparmiato Vanhoucke, facendo pensare a tutti che sarebbe stato quest'ultimo a lottare per la vittoria.
Fu una sorpresa, quindi, quando, ai meno due dall'arrivo, il compagno di squadra si piazzò in testa, sparando tutte le sue energie in una tirata di 1.700 metri che sfiancò i potenziali antagonisti in vista dello sprint. A 300 metri dallo striscione De Gendt lanciò la sua volata, letteralmente staccando gli esausti avversari in uno stile non dissimile da Saronni a Goodwood 40 anni prima.
Non resta che sperare che la stagione d'addio ci regali un degno canto del cigno da parte del Richard Kimble della bicicletta, colui che, almeno per me, resterà per sempre Il fuggitivo.