Olivstone di Joseph Beuys © Exibart.com
La Tribuna del Sarto

Il ciclismo con l'ombrello di Joseph Beuys alla ricerca di un equilibrio

Una metafora, un parallelo, un'allegoria: l'artista tedesco, la sua Olivestone, la povera Muriel Furrer, Tadej Pogačar a Zurigo

03.10.2024 09:30

Quando nel 1984, in occasione della mostra Ouverture, che avrebbe inaugurato il nuovo Museo d’Arte Contemporanea presso il Castello di Rivoli, arrivarono le 5 vasche di arenaria di Lettomanopello (Pescara), ad accompagnarle c’era l’autore Joseph Beuys. Si aggirava tra le spoglie stanze con in mano un ombrello, tastando il pavimento per accertarsi che questo reggesse l’imponente peso del suo nuovo lavoro: Olivestone.

L’opera, uno degli ultimi capolavori del geniale artista tedesco, racchiude gran parte dell’essenza del suo percorso artistico: il rapporto cultura-natura, la tensione tra solido e fluido, tra passato e presente. Olivestone è apparentemente semplice, composta da 5 grandi vasche di pietra del XVIII secolo, usate originariamente per decantare l'olio d’oliva. Beuys riempì le stesse con altri blocchi di arenaria di volume leggermente inferiore, affinché rimanesse qualche millimetro tra la pietra e il bordo. Come vasi sanguigni, quei pochi millimetri venivano colmati di olio per poi infine formare in superficie un perlaceo lago piatto in cui riflettersi. L’opera ha un forte impatto visivo e olfattivo, ma anche una sua vitalità: necessita continuamente di olio nuovo, come sangue a ridare vita alla carne; una continua tensione tra caos e forma, fra la atavica cultura del modellare la pietra e la pressione nervosa del presente.

Che c'entra OLIVESTONE con il ciclismo?

Olivstone di Joseph Beuys © Tages Anzeiger
Olivstone di Joseph Beuys © Tages Anzeiger

Olivestone oggi è conservata presso il Kunsthaus di Zurigo, proprio a fianco al circuito che ha ospitato l’ultimo mondiale di ciclismo. Forse gli organizzatori delle gare iridate non avranno avuto tempo di visitare le sale dell’importante museo svizzero, ma se lo avessero fatto e, in particolare, si fossero soffermati sull’opera di Beuys, qualcosa sarebbe potuto cambiare, forse. Come Beuys con l’ombrello in mano a tastare il terreno per accorgersi in anticipo dei punti pericolosi del percorso. Proprio come l’artista tedesco si poteva risolvere la tensione del caos di una corsa nella forma di un circuito più sicuro.

La morte della giovane corritrice, Muriel Furrer, è la dolorosa rottura di un equilibrio, quella che lei stessa esalta, quando in un post e video social riconosce la bellezza e la sacralità dello Stelvio.

Se il ciclismo smarrisce la religione, quel senso mistico che si prova in sella a una bici, fatto anche di temerarietà, allora non ha più senso correre; ma anche il caos ha bisogno di una forma, della saggezza di saper modellare la pietra, affinché il ciclo vitale prosegua.

Mettere in sicurezza un percorso, fornire i ciclisti di dispositivi di protezione non è blasfemia, non toglie quel senso di temerario, non impedisce quel gioco al limite.

Bisogna trovare il giusto equilibrio e, come l’olio di Beuys, rinnovarlo continuamente.

Pogačar, l'equilibrio del ciclismo, Muriel Furrer

Come un grande artista, quale è, Pogačar ha rotto gli schemi, ha ridato sacralità, temerarietà (tattica in questo caso) al ciclismo, proprio quando ne aveva più bisogno. Mai maglia iridata è stata più meritata!

È una questione di equilibrio, se da un lato non bisogna farsi paralizzare dalla paura, dal bisogno di controllo anche di ciò che non può essere controllato, dall’altro lato non bisogna eccedere oltre quel limite, perché dietro ci può essere la morte (o, nel caso metaforico di Pogačar, la sconfitta). Questa tensione continua è alla base del ciclismo; senza, questo sport perderebbe la sua essenza, proprio quel senso profondo che, ahimè in tristi circostanze, abbiamo scoperto che aveva raccontato proprio Muriel Furrer nei suoi post.

Forse, anzi sicuramente, in questi anni si è razionalizzato troppo il ciclismo, troppi numeri; senza quel senso mistico, lo stesso della giovane elvetica sullo Stelvio e dell’attacco di Pogačar al mondiale, non può esserci nemmeno la giusta attenzione al controllo del limite, perché uno trova il proprio confine e vita nell’altro, come l’olio e la pietra di Beuys. Dovremmo tutti girare con un ombrello, per proteggerci e per scoprirci.

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