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Joaquim Agostinho, l'eroe dei due mondi

11.08.2018 11:07

La prima delle due puntate dedicate alla storia del ciclista lusitano più forte di tutti i tempi


Nel mondo del ciclismo il Portogallo ha sempre rappresentato un pianeta a sé stante. Ancora oggi sono pochi i corridori lusitani che lasciano il paese natio per andare a misurarsi coi migliori al mondo. La gran parte preferisce rimanere in patria e correre le gare del calendario nazionale, le quali culminano con la Volta a Portugal, corsa antichissima (la prima edizione risale al 1927, è di 8 anni più vecchia della Vuelta) con un seguito, a livello locale, che non ha nulla da invidiare a quello che ha il Tour in Francia o il Giro in Italia.

Nel 1930, Henri Desgrange, storico direttore del Tour de France, stanco di vedere la sua corsa dominata dalla Alcyon Dunlop, una Sky ante litteram che conquistò tre edizioni consecutive del grande giro francese (’27, ’28, ’29), di cui l’ultima riuscendo a proteggere sui Pirenei un malato Maurice De Waele in maglia gialla, decise di rendere la Grande Boucle una gara per nazionali. Questo permise, in breve tempo, di vedere australiani, canadesi, algerini, romeni, slavi nell'Esagono. Ma non portoghesi.

Bisogna arrivare al 1956 per trovare un portoghese, tal Antonio Barbosa Alves, meglio conosciuto come Alves Barbosa, al via della corsa più importante dell’anno. Egli, peraltro, era iscritto nella selezione lussemburghese di Charly Gaul, la quale, non avendo abbastanza uomini da portare, annoverava tra le sue fila anche l’italiano Aldo Bolzan e il britannico Brian Robinson. Alves è un talento purissimo, in patria si dedica a strada, ciclocross e velocità su pista: a soli 19 anni aveva vinto la sua prima Volta a Portugal (ovviamente è il più giovane vincitore nella storia della gara a tappe lusitana). In quanto tale riesce ad avere successo anche alla Grande Boucle: chiuderà 10° in classifica generale, primo dei suoi, davanti anche all’angelo della montagna. Sarà un fuoco di paglia, in ogni caso. Alves correrà altri tre Tour, ma non ripeterà più l’exploit del 1956 e, per oltre un decennio, nessun portoghese sarà più competitivo, nelle grandi corse, contro i migliori al mondo. Poi, come un fulmine a ciel sereno, sul finire degli anni ’60, arriverà un uomo in grado di riuscire laddove Alves aveva fallito, un corridore capace di mettere definitivamente il Portogallo sulla mappa: Joaquim Agostinho.

Joaquim Agostinho, biografia di un giramondo
Agostinho è nato a Torres Vedras, nel cuore dell’Estremadura, città famosa per la vittoria dell’esercito anglo-portoghese, guidato da Sir Arthur Wellesley, contro le truppe napoleoniche. Non è zona di ciclisti, quella. Infatti, da ragazzino, Joaquim non corre in bici e, una volta diventato adulto, fa armi e bagagli e va in Africa a combattere la guerra coloniale portoghese. Passa quasi tre anni tra Mozambico e Angola, qua ha il compito di trasportare, in bicicletta, cibo e messaggi per i soldati, mansione pressoché identica a quella che ebbe un certo Ernest Hemingway, sulle rive del Piave, nella Prima Guerra Mondiale. Fa tragitti di 50 km in neanche due ore, con una bici di 20 kg. I suoi colleghi, per fare quella stessa tratta, impiegano oltre 5 ore. Una volta tornato in Portogallo, su consiglio del suo capitano, a 25 anni, inizia a fare ciclismo a livello agonistico. Ne vale la pena, infondo, viene da una famiglia povera di contadini, i premi in denaro che vengono assegnati ai vincitori delle corse locali, per uno come lui, sono particolarmente succosi.

Joaquim è basso di statura, ma ha un fisico erculeo, è un fascio di muscoli, in bici spinge rapporti lunghissimi, riuscendo, comunque, a rimanere composto sulla sella, e sprigiona una potenza che ha pochi eguali nella storia delle due ruote. È un corridore prettamente da corse a tappe, un diesel forte in salita e a cronometro, che tende a crescere in maniera verticale con il passare dei giorni. In quanto tale, ben presto, diventa uno specialista dei grandi giri, con un occhio di riguardo per la Grande Boucle. Ha un carattere focoso, ma ingenuo, per via del quale, spesso, si ritrova a litigare coi colleghi.

I primi anni e il dominio alla Volta
Nel 1968 inizia a correre tra le fila dello Sporting Lisboa (polisportiva di cui fa parte, ovviamente, anche la nota squadra di calcio) e i risultati non tardano ad arrivare, anzi: in quello stesso anno conquista sia il campionato nazionale in linea che quello a cronometro. A questi successi segue, sul finire del 1968, anche la prima vittoria in una corsa a tappe, la Volta a Sao Paulo, in Brasile. Qui, Agostinho, avrà modo di conoscere Jean de Gribaldy, l’uomo che passerà alla storia come lo scopritore del fenomeno lusitano.

De Gribaldy, francese di Besançon, è un tizio bizzarro, eccentrico, lo chiamano il visconte, non perché abbia questo titolo nobiliare, ma per via della sua discendenza da una famiglia di nobili italiani (i Broglia). Fu corridore discreto a cavallo tra gli anni ’40 e gli anni ’50, poi aprì un negozio di elettrodomestici con cui ebbe un successo tale da potersi permettere di investire in squadre ciclistiche. Ma non è tutto, il visconte, infatti, ha un tarlo: ama scoprire talenti in paesi, all’epoca, considerati esotici per il ciclismo. Agostinho sarà uno dei primi, ne seguiranno tanti altri tra cui un certo Sean Kelly.

Il primo settembre 1968 Agostinho prenderà parte alla sua prima gara tra i professionisti: il Mondiale di Imola, laddove Vittorio Adorni dipingerà il suo affresco più bello. Joaquim non sfigura, benché, come tutti, venga totalmente oscurato dall’impresa del parmigiano, e conclude con un ottimo 16° posto. De Gribaldy è convinto e, dopo aver conosciuto personalmente Joaquim in Brasile un paio di mesi più tardi, lo porta in Frimartic con cui, nel 1969, partecipa al suo primo Tour de France. Quell’edizione della Grande Boucle viene dominata dal più forte Merckx di tutti i tempi. Il Cannibale, furioso per essere stato squalificato al Giro, a causa di una positività alla femcamfamina mentre era in maglia rosa, non fa prigionieri e stravince, per la prima volta in carriera, la corsa francese.

Benché il cannibale cerchi di attirare su di sé tutte le luci della ribalta, Agostinho riesce, comunque, a dare un saggio del suo incredibile mix di talento e follia: vince la quinta frazione, con arrivo a Mulhouse, precedendo di 18” il gruppo regolato dal tedesco Rudi Altig. Si ripeterà nella quattordicesima tappa, ove otterrà un altro trionfo in solitaria, giungendo al traguardo con ben 1’18” di vantaggio su belgi Eddy Beugels e Wilfried David. Ma non è tutto: infatti, il possente portoghese, si leva, anche, lo sfizio di migliorare il decimo posto di Alves nella generale, chiudendo la Grande Boucle ottavo a 51’24” da Merckx (sì, avete letto bene, 51 minuti e 24 secondi, il cannibale prima della caduta nel velodromo di Blois dava questi distacchi qua).

Poche settimane più tardi, torna in Portogallo, per prendere parte alla Volta, con addosso la casacca dello Sporting. Oggi la gara a tappe lusitana dura 10 giorni, ma, all’epoca, era un vero e proprio grande giro di tre settimane. Agostinho riesce a conquistare la Grandissima, strappando la maglia a Joaquim Andrade nell’ultima tappa, una crono di 35 km da Vila Franca de Xira a Lisbona. Sarà, tuttavia, un trionfo effimero, perché il portoghese viene trovato positivo all’antidoping e privato della vittoria. All’epoca, in ogni caso, le squalifiche non erano certo lunghe come adesso e Joaquim ha modo di consolarsi conquistando, nel finale di stagione, il Trofeo Baracchi in coppia con il re della Bordeaux-Parigi Herman Van Springel.

L’anno seguente tornerà alla Volta con gli occhi iniettati di sangue, voglioso di rifarsi dopo la squalifica, proprio come fece Merckx al Tour del ’69. Conquisterà ben 4 frazioni, risultando il più forte sia in salita che a cronometro. Joaquim dilania i suoi avversari come fanno i leoni con le gazzelle, li annichilisce senza pietà. Vincerà il grande giro portoghese con oltre 7’ sul secondo, il suo compagno Firmino Bernardino.

In Portogallo non ha eguali, nel 1971 bissa il successo alla Volta, conquistando, inoltre, ben 8 tappe. Veste la camisola amarela dal primo all’ultimo giorno e solo il secondo classificato, il francese della Bic Alain Santy, giunto a 9’54” dal dinamico portoghese, riesce a concludere la corsa con meno di 10 minuti di distacco dal primo. In campo internazionale non va peggio, arriva terzo nella Attraverso Losanna, dietro a Ocaña e Merckx, mentre al Tour conclude addirittura quinto, venendo battuto solo dal Cannibale nella crono conclusiva di Parigi.

Il passaggio alla Bic al fianco di Ocaña
Nel ’72, oltre a conquistare la terza Volta consecutiva, con 4 vittorie di tappa e il secondo lasciato a 5’46”, e piazzarsi ottavo alla Grande Boucle, è grande protagonista anche al Tour de Suisse. Nella corsa a tappe elvetica trionfa in entrambe le cronometro: nella prima, di 12 km, rifila ben 35” al vincitore del Tour 1967 Roger Pingeon, mentre nella seconda, di 25 km, precede di 28” lo svizzero Louis Pfenninger. In classifica generale, ove sarà proprio quest’ultimo a trionfare, Joaquim chiude, invece, 5°. Le sue prestazioni sono eclatanti al punto che la Bic, formazione il cui capitano era nientemeno che il più acerrimo dei rivali di Merckx, ovvero Luis Ocaña, lo mette sotto contratto.

La stagione seguente partecipa alla Grande Boucle come luogotenente dello stesso Ocaña. Merckx, che ha già vinto Vuelta e Giro quell’anno (la Vuelta, all’epoca, si svolgeva ad aprile), è assente e lo spagnolo di Mont-de-Marsan ha la strada spianata. Luis domina, ma Agostinho, pur aiutando il compagno, trova il modo di ritagliarsi il suo spazio: vince la cronometro di Bordeaux battendo di appena 1” Bernard Thevenet e di 3” Joop Zoetemelk, mentre, in classifica generale, è nuovamente ottavo.

Il mese seguente Joaquim si ripresenta alla Volta per provare ad acciuffare il poker. Annienta la concorrenza in modo ancor più fragoroso rispetto alle edizioni precedenti, vince 7 tappe e in classifica generale chiude primo con quasi 15 minuti di vantaggio sul 2°. Come nel ’69, però, verrà trovato positivo e squalificato. La sostanza incriminata si chiama Ritalin, uno psicostimolante con effetti simili a quelli delle anfetamine (all’epoca diffuse in tutto il gruppo). Agostinho, molto candidamente, ammetterà di averne fatto uso, dicendo che glielo davano in Bic e che ignorava totalmente che fosse doping. Ad ogni modo, dopo quella seconda positività, Agostinho non correrà più in Portogallo per molti anni.

11, maledetti, secondi
Lasciata, dunque, l’attività con lo Sporting, Joaquim ha modo per concentrarsi anima e corpo in quella con la Bic. Nel ’74 decide, così, di partecipare alla Vuelta come spalla di Ocaña. Lo spagnolo, tuttavia, non ha un grande feeling con la corsa di casa e non riesce a ripetere le prestazioni del Tour ’73. Ad ergersi a protagonista della corsa è, invece, un altro dei grandi rivali di Luis: el Tarangu José Manuel Fuente, che domina nel primo arrivo in salita, Los Angeles de San Rafael, rifila 30” ai primi inseguitori (tra cui Joaquim) e prende il comando della classifica generale. Si ripeterà pochi giorni dopo anche sull’Alto del Naranjo, ove sarà ancor più devastante e solo un paio di corridori riusciranno ad arrivare al traguardo con meno di 1' di distacco dall’arrembante asturiano. Tra questi vi è un compagno di squadra dello stesso Fuente, un corridore di gran talento, meno forte in salita del suo capitano, ma superiore a cronometro, proveniente dai Paesi Baschi: Miguel Maria Lasa.

Entrambi hanno un carattere particolare e, dopo che già nel ’72 Lasa aveva fatto secondo alla Vuelta alle spalle di el Tarangu, tra i due vi è una certa rivalità. All’interno della KAS le frizioni crescono man mano che passano i giorni. In Bic, invece, Agostinho inizia ad avere sempre più spazio, complice uno spento Ocaña e, nella frazione con arrivo a Cangas de Onis, porta l’attacco decisivo sul temibile Mirador del Fito, grazie al quale riesce ad arrivare da solo al traguardo e a vincere la tappa con appena 5” di vantaggio sulla maglia amarilla che, nel frattempo, si era sbarazzata del resto della concorrenza. Pochi giorni più tardi, nella penultima tappa del grande giro spagnolo, Lasa attacca in compagnia di Augustin Tamames, spagnolo ex KAS, ora in forza alla Coelima, poi vincitore di quella frazione, nella salita che porta ad Arrate. Fuente è meno brillante del solito e perde 41” dal compagno di squadra e 6” da Agostinho che lo aveva staccato nel finale.

Si arriva così all’ultima tappa, la quale è suddivisa in due semitappe, la prima una frazione abbastanza tranquilla che si snoda nel cuore dei Paesi Baschi, da Eibar a San Sebastián, la seconda, invece, è una cronometro di 35 km tra le strade della stessa località marittima, decisiva per le sorti della Vuelta. Fuente guida la classifica generale, ma non è al sicuro, viste anche le sue scarse doti nelle prove contro il tempo, perché Lasa lo segue a soli 1’32”, mentre Agostinho si trova a 2’35”. Lasa conclude sesto, ma è autore di una prova abbastanza incolore: guadagnerà, infatti, poco più di 20” al compagno. Al contrario, Agostinho, prende letteralmente il volo. Il portoghese, concentrato come non mai, plana su Donostia, realizzando una prestazione a dir poco strepitosa. Al traguardo è primo, con Ocaña migliore degli altri a 1’10”. Mi si sa, il destino a volte è beffardo e, forse, in questo caso, non lo è stato solo il destino (qualcuno parlerà di mezzi dell’organizzazione parecchio generosi nei confronti dell’idolo di casa in maglia di leader, come da tradizione nel ciclismo). Per soli 11” ad Agostinho resterà l’urlo strozzato in gola. Fuente vince la sua seconda Vuelta, Agostinho è secondo e Miguel Maria Lasa terzo. Joaquim si è avvicinato come mai prima d’ora, in carriera, a vincere un grande giro tradizionale (nota bene: diciamo tradizionale, perché le Volte vinte dal nativo di Torres Vedras erano grandi giri a tutti gli effetti e, al tempo, duravano, solitamente, 4 o 5 giorni in più rispetto alla Vuelta).

Il sogno dl podio al Tour deve ancora attendere
Sulle ali dell’entusiasmo, per quanto fatto alla Vuelta, Agostinho prende parte al Tour de France con l’obiettivo di diventare il primo portoghese a salire sul podio della gara a tappe francese. La Grande Boucle, per il lusitano, inizia ottimamente: nel prologo è quarto a 13” da Eddy Merckx, mentre, nella nona frazione, si inserisce nel tentativo vincente di giornata, insieme allo stesso Cannibale (il quale conquisterà la tappa), a Miro Panizza, Raymond Poulidor e Gonzalo Aja, riuscendo, così, a salire al secondo posto della classifica generale.

Sulle Alpi prima e sui Pirenei, tuttavia, il portoghese soffre più del solito quando la strada sale. Nel giro di pochi giorni, dunque, scende rapidamente fino al sesto posto e vi resta incatramato mentre uno scatenato Eddy Merckx trionfa in quello che sarà il suo quinto e ultimo Tour de France.

(1. continua)
Notizia di esempio
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