Il "Triello" verso Sanremo: protagonisti Pogi, VdP e Pippo
La Tribuna del Sarto

The Rumble in The Poggio

Uno spettro si aggira per Sanremo, come un drone vola dall’imbocco della Cipressa fino a Via Roma: il fantasma di George Foreman

23.03.2025 15:40

Big George, campione del mondo dei pesi massimi dal 1973 al 1974 e, ancora, all’età di 45 anni nel 1994, è morto a Houston il 21 marzo 2025, alla vigilia della prima classica monumento della stagione di ciclismo. Più che per i mondiali di Boxe vinti, più ancora dell’oro olimpico nel 1968 a Città del Messico, George Foreman è ricordato per una storica sconfitta, anzi La Sconfitta, nell’incontro di boxe più famoso e raccontato di tutti i tempi, di tutto lo sport. Il 30 ottobre 1974 allo Stade Tata Raphaël di Kinshasa nello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), il campione dei pesi massimi in carica, Foreman, affronta l’ex campione del mondo, la leggenda Muhammad Ali. L’incontro è passato alla storia con il nome The Rumble in The Jungle (La rissa nella giungla), avvenuto sotto lo sguardo del presidente dello Zaire, Mobutu Sese Seko; dittatore sanguinario del paese africano dal 1961, con l’appoggio di CIA e Belgio, responsabile dell’assassino di Patrice Lumumba, primo leader della nazione ad essere stato eletto democraticamente.

Ali fu abilissimo nella comunicazione prima dell’incontro; per molti fu proprio questa sua capacità a mettere al tappeto Big George all’ottava ripresa. Ali simboleggiava il popolo africano nero, schiavizzato dai coloni, umiliato dal razzismo, che poteva essere orgoglioso del suo eroe bello e forte, che vola come una farfalla e punge come un’ape! Anche Foreman era di colore, ma Ali gli attribuì abilmente il ruolo, l’immagine e il partito dell’uomo bianco.

Un'istantanea dell'epico scontro tra Ali e Foreman
Un'istantanea dell'epico scontro tra Ali e Foreman

"Ali, boma-ye!” (Ali, uccidilo!) urlava la folla nei giorni prima dell’incontro, nell’assordante frastuono dei 60mila spettatori allo stadio, l’incontro fu visto da più di un miliardo di persone in diretta televisiva, all’epoca un quarto della popolazione mondiale, e, infine, per celebrare la vittoria dell’eroe.

Cosa c’entra la Rumble in The Jungle con l’ultima Milano-Sanremo?

Lo scontro epico tra Van der Poel, Pogačar e Ganna non passerà certo alla storia come l’incontro di Kinshasa, ma sarà ricordato a lungo come una delle più belle corse di ciclismo mai viste. Un duello, triello, poi ancora un duello, e infine triello emozionante, incerto, fatto di continui scatti, recuperi, controscatti; un incontro di boxe tra l’olandese e lo sloveno, dove il buon Filippo non ha fatto da arbitro, ma con forza e coraggio ha indossato i guantoni e combattuto, in un ring a lui sfavorevole, alla pari degli altri due fuoriclasse.

Potrà sembrare esagerato il paragone, l’immagine dello spettro di Foreman che spinge Pogačar, il campione del mondo in carica, la maglia iridata ad andare al tappeto contro ex campione del mondo, nipote di Poulidor, “l’eterno secondo” (c’è sempre un riscatto da raccontare). Eppure, rileggendo le parole dell’allora inviato della Gazzetta dello Sport a Kinshasa, il compianto Rino Tommasi, giornalista e telecronista straordinario, sorprendono le somiglianze, le analogie.

“C'erano stati dei momenti in cui George Foreman sembrava combattesse al rallentatore, tanto le sue serie erano lente, le sue traiettorie prevedibili.”

La Cipressa in 9 minuti, gli scatti sul Poggio di Pogačar erano un copione già scritto, non per questo meno spettacolare, ma, senza dubbio facilmente immaginabile.

“… a quel punto Foreman era già cotto, suggestionato, privo di idee prima ancora che di energie. Lo avevano vuotato il tempismo di Alì, l'anticipo con cui ogni sua mossa era stata sempre prevenuta, la maestria con la quale il suo avversario lo aveva impietosamente indirizzato su un tema tattico al quale era incapace di sottrarsi”. 

Pogačar è stato inabile a trovare nuove idee, spiazzare, sorprendere il corridore olandese. Troppo “semplice” il finale della Sanremo, troppo corta e poco ripida l’ultima salita per mostrare la sua dote migliore. Van der Poel, invece, è stato colui che “si era fatto riempire la faccia di pugni da parte di un avversario che si faceva tranquillamente e volentieri chiudere alle corde”.

L'urlo di Mathieu Van der Poel in via Roma (© RCS Sport)
L'urlo di Mathieu Van der Poel in via Roma (© RCS Sport)

“C'era chi sosteneva che Foreman fosse incappato in una serata disgraziata, che fosse finito in superallenamento e citavano il fatto che il campione aveva assai ridotto il lavoro nelle giornate di vigilia. Insomma, il Foreman di Frazier non era quello della notte scorsa”. 

Alla vigilia della Sanremo, il team manager dello sloveno, Joxean Matxin, aveva dichiarato che Pogačar non fosse al 100% della forma, forse condizionato ancora dalla caduta alle Strade Bianche.

“… si può essere annientati psicologicamente, prima ancora che tecnicamente, da uno stregone in possesso delle straordinarie doti di Alì, che aveva improvvisamente scoperto il bluff, aveva restituito George Foreman in una dimensione assai più modesta e più vera”. 

Van der Poel conosceva le carte in mano allo sloveno; più prevedeva ogni sua giocata, più minava ogni certezza mentale dell’avversario.

"L'aggressività di Foreman è stata improduttiva. In fase difensiva Alì ha picchiato di più e meglio”.

È proprio quello che abbiamo visto fare all’olandese, che ha volato come una farfalla e punto come l’ape.

“Ali gli ha accorciato le traiettorie anziché scappare, come avrebbe potuto, lo ha aspettato sulle corde e gli ha dato una lezione". 

Se pensi che il mondo sia rimasto sorpreso quando Nixon si è dimesso, aspetta di vedere il resto della stagione di corse

Le parole di Rino Tommasi, come spesso accade alle buone penne, si prestano perfettamente al racconto della Milano-Sanremo. Eppure, quello che più di tutte mi impressiona è la descrizione del giornalista italiano di Foreman “il viso imbambolato, ascoltava, incapace di una reazione qualsiasi, il conteggio di Zachary Clayton, l'americano - naturalmente di colore - che ha diretto l’incontro”; mi ha subito fatto venire alla mente lo sguardo e il volto di Pogačar sul podio: prima sbaglia il gradino salendo sul secondo, poi, pur applaudendo sinceramente alla vittoria dell’amico rivale, non riesce a cancellare quell’espressione incredula; presente assente, per una volta era il fantasma di sé stesso.

Il ricordo del "Rumble in the Poggio" sbiadirà rapidamente. A differenza di Foreman, Pogačar non dovrà aspettare vent’anni per una rivincita; già le pietre del nord saranno il terreno della prossima rissa, magari con una foresta al posto della giungla.

E parafrasando una celebre frase di Ali: se pensi che il mondo sia rimasto sorpreso quando Nixon si è dimesso, aspetta di vedere il resto della stagione di corse (“If you think the world was surprised when Nixon resigned, wait till i kick Foreman's behind”).

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