Una domenica così non la potrò dimenticar
Dal grande spettacolo della rivalità tra Wout e Mathieu alla suggestione che Ciccone possa ripensarci sul far classifica al Giro, la sintesi dello zapping di un pomeriggio di ciclismo
Chiedo scusa ai più giovani ma gli eventi occorsi tra le 16 e le 17 del pomeriggio di domenica scorsa, 5 febbraio, in congiunzione con l'incombente svolgimento del Festival di Sanremo, di cui è protagonista Gianni Morandi, mi hanno riportato alla mente la canzone con cui ho deciso d'intitolare questo pezzo. Era la sigla d'apertura dell'edizione 1967-68 del gioco canoro Settevoci, quello che lanciò Pippo Baudo verso una gloriosa carriera da conduttore televisivo. Ovviamente, l'indimenticabile festività cantata dall'allora ventitreenne ragazzo di Monghidoro era molto diversa dalle nostre domeniche attuali in cui, armati di telecomando, saltiamo da un angolo all'altro del globo a inseguire una pletora di eventi sportivi eccelsi, o almeno spacciati per tali.
Era da poco scoccata la canonica ora inglese del tè quando i diarchi del ciclocross, Mathieu van der Poel e Wout Van Aert, incominciavano a Hoogerheide l'ultimo giro del mondiale élite, ennesima tappa d'una rivalità infinita. Poco importa chi abbia vinto: è indubbio, tuttavia, che questa eterna sfida non è seconda a nessuna delle precedenti che hanno animato la storia del ciclismo dall'inizio del XX secolo ad oggi. Con il successo sullo sterrato di casa il figlio di Adrie, a sua volta iridato nel 1996, ha raggiunto a quota cinque un trio illustre composto dal nostro Renato Longo, dallo svizzero Albert Zweifel e dal francese Andrè Dufraisse. A sette titoli, in beata solitudine, c'è sempre il fiammingo Eric De Vlaeminck, fratello maggiore di Roger, che dovrà confidare nella voglia di rivincita del connazionale Van Aert perché il suo record non venga ulteriormente avvicinato dall'olandese.
Neanche il tempo di mandare giù la fatidica cuppa ed eccoci virtualmente catapultati sulla soleggiata costa iberica per la frazione conclusiva della Vuelta Valenciana: è un passaggio non dissimile da quello da un albergo a cinque stelle ad un ostello per la gioventù ma, in questi tempi di magra per il ciclismo azzurro, la prospettiva d'un successo non era da disprezzare. Giulio Ciccone, l'eterno incompiuto d'Abruzzo, arrivava all'atto conclusivo della cinque giorni nella patria della paella con 4” di vantaggio sul vincitore dell'unica edizione autunnale della corsa rosa, Tao Geoghegan Hart. Il teatino era decisamente ben messo ai meno 5 dall'arrivo, avendo limitato i danni nel traguardo volante appena superato in cui aveva perso dal londinese solo un secondo.
Troppo concentrato sul corridore dell'Ineos, Ciccone, però, sottovalutava l'attacco di quel vecchio volpone che risponde al nome di Alberto Rui Costa. Il portoghese, distante 14” in classifica, fino a quel momento, era considerato un potenziale alleato in quanto vincendo avrebbe portato via gli abbuoni a Geoghegan Hart. Il problema è stato che Rui Costa, nel conquistare la vittoria, ha anche staccato Giulio di 21 secondi, dimostrando nell'occasione la stessa scaltrezza di 10 anni fa quando, approfittando del marcamento reciproco tra i due capitani spagnoli, Joaquim Rodríguez e Alejandro Valverde, conquistò sul traguardo di Firenze una improbabile maglia iridata.
I prossimi mesi ci diranno se la piazza d'onore conquistata alla fine da Ciccone riempia il bicchiere più di quanto lo lasci vuoto. Dopo la nefasta domenica dello scorso anno al Giro sul Monte Amaro, la salita che lui conosce più d'ogni altra, lo scalatore di Chieti si era autoretrocesso, a soli 28 anni, a cacciatore di tappe che non avrebbe più curato la classifica generale delle grandi corse a tappe. Forse è questa la sua dimensione ma a me piacerebbe che, almeno per quest'anno, il buon Giulio tentasse seriamente di preparare la corsa rosa in funzione della graduatoria finale. D'altronde, con Damiano Caruso che veleggia verso i 36 anni, comincio ad aver un'età che mi fa temere di non vedere più un italiano vincere il Giro. Meno male che non sono francese anche perché, pensando alla quasi quarantennale assenza di successi al Tour, di capelli da strapparmi me ne rimangono ben pochi!