Riceviamo e pubblichiamo: "Il vero stato dell'arte del Giro d'Italia Ciclocross"

23.12.2017 09:55
Il 3 dicembre, con questo articolo, abbiamo commentato la prova del Giro d'Italia di Ciclocross di Silvelle di Trebaseleghe, lasciandoci andare, a seguito dei netti commenti di Gioele Bertolini nel dopogara, ad un approfondimento sull'attuale valore della competizione e dei percorsi italiani.  Ne è seguito un discreto dibattito, al quale ha deciso di partecipare anche l'organizzazione stessa dell'ASD Romano Scotti, inviandoci una articolata e interessante replica che riflette il loro punto di vista, dando risposte estremamente franche su argomenti che sono oggetto di discussione da molto tempo.
Buona lettura.


Ringraziamo la redazione di Cicloweb per aver dato ampio spazo al Ciclocross con l’articolo del 3 dicembre 2017. L’articolo non si è limitato a fare la cronaca sportiva della tappa di Silvelle, ma è andato oltre ed ha sviscerato lo stato dell’arte del Giro d’Italia Ciclocross (GIC) e l’intervista TV dopo gara di Gioele Bertolini. Partiamo da questa. I commenti di Gioele sono corretti e costruttivi, ma non tengono conto della realtà nazionale. Vediamo perché. Il ciclocross è cresciuto enormemente in Italia negli ultimi anni e questo grazie ai percorsi accessibili a tutti che abbiamo proposto con il Giro d’Italia Ciclocross. Non che ci piaccia tracciare percorsi facili, delle gimkane come li ha chiamati Cicloweb. A Fiuggi per la Coppa del Mondo abbiamo allestito un percorso totalmete diverso da quelli tipici del GIC, difficile a tal punto da aver messo in difficoltà anche i crossisti più esperti al mondo. Adesso una domanda: se avessimo proposto quel tipo di percorso anche alle tappe del GIC, i numeri dei partenti sarebbero così alti come oggi lo sono?

Purtroppo in Italia siamo alle prese con un problema di tipo culturale. Un problema che abbiamo studiato, capito e affrontato. Se in Italia allestisci un percorso “alla Superprestige” il 99% dei partenti dirà che è da MTB e la volta dopo molti non si ripresenteranno. Se invece fai un percorso similgimkana, quello sta bene ai più e soltanto qualche occhio esperto di ciclocross internazionale capisce che non ha niente a che vedere con i percorsi nordeuropei. Dunque per aumentare il numero di praticanti abbiamo dovuto allestire percorsi che di ciclocross hanno poco? Si, è paradossale ma è così. Facciamo un paragone con la MTB: in Italia le gare di MTB, le granfondo soprattutto, più sono dure e più piacciono ai partecipanti. Più alto è il dislivello e più affascinanti sono. Nel Ciclocross invece i praticanti italiani vogliono percorsi facili, elementari, accessibili, visibili da ogni angolo. Il risultato non può che essere un continuo avanti-indietro di brevi rettilinei. Bertolini ha ragione, i percorsi italiani probabilmente non preparano sufficientemente al cross nord europeo. Ma lo scopo del GIC non è creare nuovi campioni, per quello ci vuole ben altro, ci vuole il coraggio di uscire dai confini nazionali, come sta facendo Alice Arzuffi e in parte lo stesso Bertolini, dopo aver fatto palestra al GIC per alcuni anni. E’ così che funziona, d’altronde non possiamo pretendere di avere l’Università sotto l’uscio di casa ed andarci già da bambini. Noi abbiamo ridato all’Italia la scuola di base del Ciclocross, l’Università resta in Belgio ed è là che deve andare da grande chi si vuol specializzare.

La nostra sfida era ridare vita ad uno sport che si era quasi estinto nel nostro Paese. Quando abbbiamo iniziato ad occuparci di Ciclocross, 12 anni fa, la disciplina era come un pugile suonato che non voleva andare k.o. e aspettava che l’arbitro desse fine all’incontro. Noi ci siamo occupati e preoccupati di lui, a tutti i livelli. Non abbiamo organizzato soltanto gare. Abbiamo fatto molto di più. Per 3 anni abbiamo riunito annualmente, a nostre spese, i rappresentanti del Ciclocross di tutte le regioni per generare confronti e idee innovative. Da quelle riunioni si è capito che il Ciclocross per rinascere aveva bisogno di calendari unificati tra regioni confinanti, come del resto il Triveneto già faceva da tempo. Abruzzo e Marche si sono alleati da subito, poi anche Lombardia e Piemonte si sono uniti. La spina dorsale del Ciclocross sono le gare regionali, quelle che noi abbiamo sempre sostenuto, sponsorizzando ad esempio il Trofeo Lazio Cross. Ma tutto ciò non era sufficiente. C’era bisogno, parallelamente, di un progetto di respiro nazionale che ridesse al Ciclocross la giusta importanza, soprattutto di tipo mediatico. Il GIC è nato da questi bisogni. Perché il Ciclocross non crollasse definitivamente al tappeto, c’era bisogno di esportarlo al di fuori delle sue culle classiche, che sono il Triveneto e alcune zone della Lombardia. Una modalità che ricalca ciò che a livello internazionale sta facendo l’UCI con i suoi progetti di promozione del Ciclocross al di fuori del Benelux; i risultati li conosciamo, il Ciclocross è arrivato anche in Giappone e Cina, ma soprattutto è letteralmente esploso come movimento ciclistico di tendenza negli Stati Uniti. Anche il nostro esperimento italiano è riuscito. Con il GIC abbiamo ridato un polmone di praticanti al Ciclocross. L’unità di misura sono i Campionati Italiani: a Lecce (2006) vi furono 312 partenti tra tutte le categorie, a Roma 2018 sfonderemo il tetto dei 1.000, risultato peraltro già raggiunto agli Italiani che abbiamo organizzato sempre a Roma nel 2011 (1350 iscritti). Noi abbiamo rilanciato il Ciclocross anche in televisione. Bike-channel è stata la prima emittente pay-TV ad occuparsi di Cross in Italia, con repliche e lanci pubblicitari settimanali del GIC. Sarà un caso, ma adesso anche in RAI si rivede il Ciclocross nazionale (comprese le nostre tappe) e la Coppa del Mondo. Tra RAI e Bike Channel, l’offerta di Ciclocross da guardare in TV si è ampliata tantissimo.

Noi abbiamo proposto un modello nuovo, abbiamo creato qualcosa che non esisteva, abbiamo unito nord e sud. Se qualcuno vuole imitarci ben venga, ma si ritroverà con la penna in mano a fare i conti per molti anni e non partirà mai senza il coraggio e la passione, quella che noi abbiamo ereditato dai nostri nonni e padri. Il format del GIC è pesante da organizzare, complesso da coordinare e oneroso da gestire. La famiglia Scotti è più volte intervenuta con risorse proprie, questo nessuno lo scrive. La partecipazione al GIC non è scesa di qualità per la carenza di premi, come ha scritto Cicloweb nel suo articolo. Nel 2015 abbiamo erogato 21.350€ di montepremi. Il GIC 2015 è stata la gara ciclistica di livello dilettantistico con il montepremi più alto d’Italia quell’anno, ma anche questo nessuno lo ha scritto. I motivi della “caduta di qualità” dei partecipanti sono altri, ben più nascosti e difficili da individuare da parte di chi non è dentro al movimento. Purtroppo manca in certi atleti che vorrebbero sentirsi chiamare “specialisti” la mentalità di uscire fuori dai confini regionali, per cui quando gli porti la gara nel giardino di casa eccoli presenti, poi quando tocca a loro fare 6 ore di viaggio (cosa che i corridori del sud fanno quasi ogni domenica) allora non sono disponibili. Il Master Cross, che Cicloweb ha indicato come “antagonista” del GIC è un bel trofeo, alcune delle sue prove sono state in passato anche tappe del GIC (ad esempio Faè di Oderzo e Brughiero). Tuttavia il Master Cross ha l’imperdonabile pecca di non essere stato capace di uscire dai confini del nord-est, fatta eccezione per la prova di Brughiero. Questa mentalità di curare il proprio orticello non ha mai giovato al cross italiano e mai vi gioverà. Ma in certe regioni d’Italia è purtroppo endemica. D’altronde anche la redazione di Cicloweb è caduta nello stesso peccato originale. L’articolo del 3 dicembre è davvero ben fatto, ma guarda caso è stato scritto dopo la tappa di Trebaseleghe (Veneto) e non dopo quello di Grumo Nevano (Campania) o Ferentino (Lazio). Noi invece le regioni come Campania, Puglia, Marche, Lazio e così via le valorizziamo, ci allestiamo gare di alto livello e le portiamo in TV su fascia nazionale. Trattandosi di località spesso nuove, l’incognita è sempre dietro l’angolo. La tappa di Numana, che Cicloweb ha citato con menzione negativa, ne è un esempio. Nessuno sa quanti viaggi vi abbiamo fatto per cercare di allestire un percorso sulla spiaggia e proporre così una sorta di Koksijde italiano. Non è stato possibile. Limiti normativi e culturali ci impediscono di fare ciò che invece è normale in un paese dove il Ciclocross è sport nazionale (il Belgio appunto). Quegli stessi limiti spesso ci confinano all’interno di un fazzoletto di terra poco più grande di un campo da calcio ed allora è scontato che per tirare fuori 2.500 metri di pista tocca fare tanto fettucciato. Certo lo spettacolo ne risente. Discese ardite dove nemmeno un passerotto riuscirebbe a stare in equilibrio e muri al 30% da superare bici in spalla sono tutt’altra cosa. Ma allora un’altra domanda: meglio una gara poco spettacolare o nessuna gara? Noi abbiamo dato all’Italia tre prove di Coppa del Mondo e con nove Giri d’Italia Cross abbiamo portato la disciplina dove non esisteva, l’abbiamo rafforzata dove era debole e l’abbiamo valorizzata dove era già forte. Questo è il vero stato dell’arte del Giro d’Italia Ciclocross.
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