Professionisti

Ciclisti Affini agli appassionati

20.01.2020 13:14

Il giovane passista della Mitchelton-Scott merita di essere conosciuto a fondo per le sue doti di comunicazione: l'occasione la serata organizzata in suo onore a Mantova


Quando l'intervista giunge ormai verso la fine, e si avvicina il momento del "question time" per il pubblico, mi accorgo di essermi appuntato almeno 7-8 potenziali domande da fare a Edoardo Affini: spaziano da argomenti leggeri come la vita da emigrante o il divieto di alcool in ritiro (imposto recentemente dalla Lotto-Soudal) ad argomenti più tediosi come il supporto psicologico agli atleti per evitare situazioni di disordine alimentare. La cosa bella è che Edoardo non solo riuscirebbe a dare una risposta ad una qualunque di queste domande, ma ad arricchirla con sue considerazioni, con spunti di riflessione o anche con una semplice battuta, come se stessimo chiacchierando tra amici al bar o in pizzeria, di fronte a una birra. Non avverto minimamente quella sgradevole sensazione che si percepisce quando l'atleta subisce l'intervista suo malgrado, e allora risponde a monosillabi, chiuso a riccio in una trincea di banalità, oppure interpreta la serata in suo onore come un momento di culto della personalità, dove l'atleta è su un piedistallo dal quale nessuno può strattonarlo e farlo scendere al livello degli altri esseri umani.

D'altronde la serata organizzata al Cinema Oberdan di Mantova dall'ASD Formigosa, pur partendo da un'idea comunissima, addirittura stereotipata se vogliamo, ossia quella di rendere onore a un talento locale in un momento a lui dedicato (facendolo intervistare da Emilio Previtali, direttore della rivista Alvento, nonché grande sportivo ed esperto di alpinismo, e affidando la conduzione dell'evento a un vecchio amico di Cicloweb, Claudio Dancelli) ha da subito un afflato meno protocollare e più amichevole del solito, vuoi perché ci troviamo decentrati rispetto a quelle province dove si vive a pane e ciclismo e questo tipo di serate è percepito come un galà. Una situazione che ben si coniuga con il carattere di Edoardo, un ragazzone di 23 anni con i lineamenti da sbarbatello e la voce profonda dell'uomo maturo, sicuro di sé senza risultare presuntuoso, ironico («Se ho sentito timore a stare vicino ai big nelle prime corse? Ad Almeria non ero in gruppo, ero sempre in testa, quindi non c'era pericolo!»), dal tono schietto e colloquiale pur restando sobrio nei comportamenti. E soprattutto, a suo agio nel gestire l'intervista come una conversazione amichevole, senza dare l'idea di sentirsi in imbarazzo o troppo al centro dell'attenzione. È ancora molto presto per pensare a cosa ne sarà di Affini dopo il ciclismo, ma l'idea che traspare è che presto o tardi emergerà non solo come atleta ma anche come un ottimo comunicatore per questo sport.

Nel mondo di Affini:  il primo anno nel professionismo
Anche grazie alla fluidità della comunicazione, l'intervista non segue un vero ordine logico o temporale, si passa da un argomento all'altro per banale associazione. Si parte ad esempio dalle Hammer SeriesSono di parte perché mi piacciono le cronosquadre, ma per me 3 o 4 appuntamenti stagionali possono essere utili per fare intensità prima di un evento importante, oltre ad attirare persone per curiosità. Anche se l'UCI adesso non le sta promuovendo»), per avvicinarsi alle corse più belle da ogni punto di vista («La Roubaix sicuramente è la mia gara preferita e quella dove mi sono divertito di più,  però penso anche a posti in cui mi è piaciuto correre per bellezza del paesaggio, tipo la Norvegia - quando non piove - o il Guangxi in Cina, anche perché non ero mai stato in quella parte dell'Asia») ed arrivare all'insolita esperienza da leader nel Tour of NorwayEro davanti alla classifica per una fuga, quel giorno i miei compagni li ho sentiti solo alla radio. Il giorno dopo però hanno cominciato a proteggermi, a portare le borracce, e a fare il mio lavoro, era tutto un po' strano tant'è che a momenti mi veniva l'istinto di andare su davanti e poi mi fermavo»).

Una lunga parte della discussione è stata dedicata ad uno dei momenti più importanti della carriera di Affini, e cioé il passaggio per due anni alla SEG Racing con relativa emigrazione (anche se a suo dire per questi due anni è stato più un pendolare stagionale). «I primi due anni da dilettante in Italia non sono andati malissimo, però non mi sentivo a mio agio. I primi sei mesi alla SEG ho dovuto adattarmi al metodo di lavoro, sia con la mente che col corpo, poi è cominciata ad arrivare l'affinità coi compagni ed i risultati.  Il secondo anno ho visto i frutti di questo cambiamento. Inoltre ha giovato anche a livello umano, mi ha permesso di imparare l'inglese. Credo che il passaggio professionistico grazie a questa esperienza sia stato meno traumatico, soprattutto per quanto riguarda i chilometri di gara e il modo in cui vengono affrontate le corse dai professionisti, che passano in poco tempo dallo stare tranquilli all'andare a tutta, come ho visto ad esempio alla Sanremo».

Il rapporto con la gara, dalla preparazione ai segnali del corpo
Relativamente ai segnali del corpo, Edoardo dice «È abbastanza difficile capire quando un avversario non sta bene, a meno di segnali evidenti come il rapporto troppo duro o la pedalata in punta di sella. Io, quando sono vicino alla crisi, sicuramente mi scompongo e ho la tendenza a mordermi la lingua, però sto cercando di smettere perché con le buche è meglio evitare...»). Successivamente si è parlato del cuore dell'attività di preparazione a cronometro, che passa dal testare diversi tipi di materiali non necessariamente con successo («Quando ero in allenamento alle Canarie mi hanno passato delle ruote da provare garantendo un notevole miglioramento, ma testandole ho preferito tenere quelle che avevo»), nonché l'esperienza in galleria del vento, dove trovare l'equilibrio tra l'aerodinamica e la potenza, e riconoscendo di avere ancora molto da imparare per poter ottenere miglioramenti a cronometro.

Dall'arrivo nei Paesi Bassi sono aumentati i lavori in palestra: «Con la SEG ho cominciato a fare lavori specifici, era il momento buono per formare il corpo. Tutt'ora ci vado due volte a settimana, certo niente di esasperato: soprattutto squat ed esercizi mirati per rendere più solidi il busto e la schiena». Per lui, la bicicletta è puro agonismo, sebbene generalmente sia un piacere: «Mai pensato a fare viaggi in bici, magari ci penserò a fine carriera per mantenere il piacere di andare in bici. Il 99% delle volte che esco provo piacere, quando succede il contrario io me ne torno subito indietro perché allenarsi non ha senso».

Il ritiro invernale e la vita in viaggio
Affini è fresco di una originale esperienza di ritiro itinerante, che la Mitchelton-Scott persegue ormai da 3 anni e quest'anno ha interessato il Sud Italia. Con notevole fondo e dislivello: un totale di quasi 2000 km da Palermo a Bari distribuiti su 9 giornate con almeno 3000 metri di dislivello a giornata («Pensate che la giornata con meno dislivello abbiamo scalato l'Etna. Lì gli Yates andavano col freno a mano tirato, mentre io dovevo andare un po' più a spinta. Lì pensi: adesso aspetto che ci sia un tratto un po' più piano che posso andare più a spinta, così li faccio soffrire un po' anch'io: però non fai lo stesso danno! Loro stanno dietro e stanno bene lo stesso...»).

Ma siamo a inizio stagione, non è importante tanto fare fatica quanto mettere chilometri nelle gambe: «Ci fermavamo a far pranzo, con pastasciutta e prosciutto al posto della solita barretta, e poi completato l'allenamento ci fermavamo in hotel, come se fosse una corsa a tappe. A noi piace e anche allo staff: così vedono sempre posti nuovi». Uno dei tanti passaggi di una vita on the road in tutti i sensi («Sarò stato a casa l'anno scorso complessivamente 3-4 mesi in tutto») con una peculiarità che non sa spiegare («I giorni che viaggio in aereo sono sempre quelli in cui ho più fame: eppure dovrebbe essere il contrario!») che la Mitchelton cerca di rendere più confortevole con piccoli accorgimenti («Ci portano sempre un cuscino ed un materassino alto 3 dita da mettere sopra il letto dell'albergo, così da non sentire la differenza di materasso e dormire meglio, soprattutto durante le corse a tappe. Inoltre quando viaggiamo ci chiedono sempre da dove vogliamo volare per darci la possibilità di avere il viaggio più semplice possibile anche se costa un po' di più»).

Oggi come oggi Edoardo è abbastanza apolide, anche dopo il periodo alla SEG continua a dividersi tra Italia e Olanda dato che lì ha una ragazza: «Un mondo diverso, gente diversa senz'altro. E una cultura della bicicletta sconfinata: il primo allenamento io ero in strada e tutti i compagni sulla ciclabile, non credevo possibile che potessimo viaggiare a 40 all'ora, ma i compagni mi dicevano di stare tranquillo, che gli altri ciclisti si sarebbero fatti da parte. Sono arrivato a fare, di 6 ore di allenamento, 5 ore e mezza di ciclabile: là qualsiasi cosa succeda l'automobilista è dalla parte del torto. Quando invece è venuta la mia ragazza a Mantova e ha visto le strade mi chiedeva dove fossero le ciclabili. Quando le ho spiegato che mi alleno su strada e che le ciclabili, anche se ci sono, non sono adatte agli allenamenti, mi ha detto: ma non è pericoloso? E infatti lo è».

Il momento amarcord e qualche considerazione sulla pista
Per quanto lui risulti un uomo al passo coi tempi, il percorso di Affini è partito nel segno di uno dei più classici elementi rustici: la tradizione familiare della bicicletta. Il nonno ha fatto il ciclista, il papà anche, per lui il ciclismo è stato l'unico sport: ha cominciato a interessarsi in età da G1, dopo aver visto una gara in paese, e a metà stagione ha cominciato a correre. «La prima gara ho fatto sesto. Poi quinto, poi quarto, alla quarta gara o forse anche alla terza ho vinto. A Mantova spesso correvamo solo in 5-6, così si andava fuori a cercare il confronto. Anche perché ci piaceva molto girare, partivamo tutti insieme, nonno, nonna, mamma, papà e sorella, e andavamo a correre nelle province di Brescia, Verona, Reggio Emilia. Erano delle vere e proprie gite di famiglia dalla mattina alla serata. Non ho mai fatto Mountain Bike o Ciclocross, però andavo spesso a Dalmine ha fare gare tipo pista, che poi ho praticato fino alle categorie juniores senza mai entrare nel giro della nazionale. Tutt'ora faccio qualche lavoro specifico di intensità e cadenza o dietro moto, ti dà un po' più di esplosività e colpo d'occhio. Ma al momento credo che la pista stia diventando troppo specializzata: i corridori australiani del quartetto fanno lavori da body builder, non fanno in allenamento più di due ore in bicicletta. Poi però fanno tempi esagerati e sono quasi certo che ai Giochi Olimpici riusciranno ad abbassare il record del mondo avvicinandosi ai 3'45". Insomma, diventa sempre più difficile conciliare strada e pista secondo me: Viviani sta facendo un gran lavoro, eppure per un anno che ha messo un po' da parte la pista è riuscito a emergere molto meglio su strada».

Sui coetanei e sulle Continental Italiane
Stuzzicato da Previtali, Affini tenta di dare una spiegazione sul come sempre più atleti riescano a risultare estremamente precoci. «Penso che sia cambiata la preparazione. Prima la preparazione delle categorie giovanili e quella dei professionisti erano due cose separate, adesso si cominciano ad introdurre prima certi concetti, anche grazie alla presenza delle Continental come quella in cui ho militato. Ma non solo, vedo che certi elementi di scientificità vengono introdotti addirittura nella categoria allievi, anche perché sono gli stessi preparatori che lavorano su diverse categorie. Remco Evenepoel?... Va forte. All'Europeo a cronometro mi ha sorpreso più che a San Sebastián, non riesco a capire come sia possibile per un ragazzo tanto più piccolo di statura rispetto a me e Asgreen andare così forte su un percorso piatto e ventilato. L'unica cosa che non sa fare, per ora, sono le volate, e certo non sa ancora stare bene in gruppo. Ho sentito dai suoi compagni che ha fatto tipo 20 cadute in un anno».

Su richiesta del pubblico, interviene con un parere negativo sulle Continental italiane: «Quando mi sono spostato in una Continental mi davano tutti del matto, anche perché in Italia quel che c'era era fatto un po' a cazzo di cane. L'anno dopo di me hanno cominciato a muoversi verso l'estero anche altri ragazzi, la cosa ha cominciato a far tendenza. Ho letto che in Italia l'anno prossimo ce ne saranno qualcosa come una dozzina di Continental, ma mi sembra che molte continuino a essere fatte a cazzo di cane: fai lo stesso calendario, forse fai due corse professionistiche in più, che poi comunque non sei capace di fare bene perché non hai l'attrezzatura e l'organizzazione adatta. Certo i soldi sono difficili da trovare, per under 23 e juniores lo è anche di più, però penso che in base al budget che hai dovresti regolare il tipo di attività che fai, e non il contrario. E poi illudi il ragazzo, che si fa chiamare professionista: io quando ero in Olanda non mi sono mai fatto chiamare professionista, ero un dilettante con la possibilità di fare le corse coi professionisti».

Obiettivi per la prossima stagione
Il calendario di Edoardo Affini sarà molto simile a quello della passata stagione: esordio con Almeria e Andalucía, tutte le classiche del Nord, la Paris-Nice più probabile della Tirreno-Adriatico nella prima parte. Poi, nella seconda parte di stagione, la testa sarà alle cronometro di Europei e Mondiali (i Giochi Olimpici li esclude anch'egli come la logica suggerisce, a causa dei regolamenti che impediscono di convocare atleti solo per la cronometro e comunque la gara di Tokyo avrebbe un dislivello troppo importante per essere competitivi), con un probabile esordio nei GT alla Vuelta.

«Sicuramente voglio far bene nelle classiche del Nord, nella prima parte. Ma il primo vero obiettivo sarà il campionato italiano a cronometro, poi fare l'Europeo e il Mondiale sarebbe molto bello sicuramente. Il primo grande Giro è una cosa che mi incuriosisce molto, si dice che sia un punto cruciale della carriera di un atleta, è quello che ti cambia davvero il motore se lo sforzo riesci ad assorbirlo anziché subirlo. Dovrei fare in generale qualche corsa a tappe in più quest'anno».
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